Giacomo Mazzariol nasce a Castelfranco Veneto nel 1997. Ha pubblicato per Einaudi Mio Fratello Rincorre i Dinosauri (2016) – best-seller tradotto in più di 15 lingue, da cui è stato tratto l’omonimo film – e Gli Squali (2018) – da cui è stato tratto il film Squali diretto da Daniele Barbiero in uscita prossimamente al cinema. Il film parla di fine maturità e lavoro, tra sogni e disillusioni. Il protagonista veneto, dopo aver creato un'app, viene preso in un incubatore di start-up romano che sviluppa le idee dei giovani e dovrà scegliere che strada prendere una volta che la sua idea iniziale verrà stravolta.
Negli ultimi anni si sono spese tante parole sui giovani definendoli pigri, svogliati, depressi, non inclini al sacrificio, dipendenti dai social e così via. Pochi parlano degli aspetti positivi, della consapevolezza, delle connessioni. In ogni caso, da chiunque parli con sicurezza e riesca a dare degli aggettivi certi che creino un quadro definito, mi tengo sempre un po’ alla larga.
Basta guardare alla mia compagnia del paese per capire quanto sia difficile. Sette persone, sette situazioni diverse. C’è chi lavorava nella consulenza, si è licenziato e ha girato il Sud America per tre mesi. Chi si è lanciato come freelance nel social media marketing. Chi viaggiava continuamente negli Stati Uniti per un’azienda, ora ha scelto un impiego che gli permetta di trascorrere più tempo a casa, con la fidanzata e una vita più normale.
Chi lavora in una start-up tech che oggi è cresciuta, ma i ritmi sono diventati così intensi da lasciargli pochissimo tempo per sé. Chi ha preso in mano l’attività di famiglia, dopo qualche tentennamento. Chi sta registrando il suo primo album da cantautore autoprodotto.
E io provo a fare lo scrittore, tra crisi creative e stasi assolute.
È davvero possibile mettere ordine?
Sforzandomi di dare una forma a questo magma e basandomi sulle mie affidabilissime ricerche (ossia innumerevoli ore di chiacchiere con i miei coetanei), ho riconosciuto due grandi anime. Due modi di affrontare il tema dell’occupazione, della carriera.
Chi lavora per realizzarsi
Sono coloro che nel mestiere cercano significato e crescita personale. Vogliono distinguersi, imparare, evolvere. Sono ambiziosi, ma non nello stile selfmade delle generazioni precedenti. Non credono nella gavetta silenziosa come unico percorso possibile. Sono meno disposti a sacrifici non riconosciuti. Non accettano dinamiche tossiche: maschilismo, paternalismo, gerarchie ingiustificate. Se un’impresa non rispecchia i loro valori, semplicemente se ne vanno. Come in una relazione, vedono le red flag e dicono: «No grazie, non fa per me». Provano a cambiare le cose, rischiano oppure cambiano strada senza troppi rimpianti. Sono dinamici. Per loro il valore non sta nel posto fisso, ma nella possibilità di raccogliere esperienze, competenze e continuare a crescere.
Valutano un luogo di lavoro per la possibilità di imparare e di assumersi delle responsabilità, piuttosto che essere solo numeri.
A questa anima associo My Way di Frank Sinatra, con la celebre frase: «I traveled each and every highway and more, much more than this, I did it my way».
Chi lavora con realismo
Sono coloro che hanno deciso che il lavoro non sarà mai il centro della loro identità. Hanno visto crollare il mito del «chi si sacrifica, vince» e del «se vuoi, puoi», e non hanno nessuna intenzione di riscriverlo. Sono persone che accettano la fragilità come parte della propria umanità. Semplicemente, fanno una scelta precisa: al primo segnale di burnout, alzano le mani e cambiano rotta. Non resistono, non si adattano, non tengono duro a ogni costo: scelgono di cambiare. Non sono persone pigre. Il loro benessere viene prima di tutto e passa attraverso la natura, la famiglia allargata delle amicizie, il tempo per sé. Sono capaci di prendersi lunghe pause senza sensi di colpa. E se a un colloquio venisse chiesto «Cosa hai fatto tutto questo tempo?», la risposta potrebbe essere quella di De Niro in C’era una volta in America: «Sono andato a letto presto». E finalmente, hanno dormito bene. Non è un banale carpe diem. Dicendo no a certe dinamiche, dicono sì a delle alternative: a una vita meno lineare, ma più autentica. Anche a costo di accettare condizioni più incerte o benefit diversi. Può voler dire scegliere di svolgere lo stesso lavoro in proprio, riducendo i propri standard, ma guadagnando in libertà.
A loro associo Letting Go di Angie McMahon, che canta: «I’ve been learning about letting go. I have been learning about wasting time and closing some doors. Hoping to open more, down the line».
La radice comune
Che si scelga di scommettere su sé stessi o di tirarsi fuori dal gioco, la radice comune resta: la ricerca di senso in un mondo instabile e l’esigenza che l’attività professionale non faccia perdere la propria umanità. La salute mentale non è più un lusso, è diventata una necessità.
Ho avuto una fortuna enorme: a 19 anni ho pubblicato il mio primo romanzo con Einaudi. Mi hanno affiancato un grande scrittore come Fabio Geda, che mi ha insegnato il mestiere. Poco dopo, grazie a un collettivo di giovani autori chiamato Grams, ho lavorato alla serie Baby per Netflix, a 21 anni. Queste esperienze mi hanno dato un’idea quasi miracolosa del mondo professionale: giovane, veloce, aperto ai talenti. Quando vado nelle scuole, lo dico subito: la mia è una eccezione. Cerco di preparare gli studenti e le studentesse a quello che li aspetta davvero: la competitività, gli stage, il fatto che a volte i sogni vadano riadattati mentre alla nostra età, i nostri nonni, forse anche i nostri genitori, già mettevano da parte soldi per una casa e avevano i figli. Nel mio ultimo romanzo (Gli Squali) ho cercato di raccontare le pressioni che i giovani vivono oggi. I miei “squali” non sono quelli alla Jordan Belfort, predatori che pur di ottenere successo diventano spietati. Ma giovani consapevoli dei propri strumenti, audaci, capaci – si spera – di navigare in un mondo diventato liquido e instabile.
Oggi c’è una generazione cresciuta tra pandemie, guerre, crisi economiche e situazioni precarie e da loro si può quindi sperare per una rivoluzione gentile di cui tutti potrebbero giovare: rimanere umani, dentro e fuori dal lavoro.
* Il presente articolo è tratto dall’ultima edizione di LINC uscita a giugno 2025
