LGBTQ+: la strategia nazionale, i passi avanti e quanto ancora c’è da fare

Lo scorso ottobre è stata presentata in Consiglio dei Ministri la nuova Strategia nazionale LGBTQ+ 2022-2025. Nel testo del decreto si legge che: «È adottata la “Strategia Nazionale LGBT+ per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere (2022-2025)”, (…) recante misure per rafforzare la tutela dei diritti delle persone LGBT+ e promuovere la parità di trattamento e la non discriminazione nell’ottica della piena inclusione di tutte le persone, in coerenza con la Strategia europea per l’uguaglianza LGBTIQ 2020-2025».  

E infatti, questa Strategia, è il frutto di un lungo percorso iniziato oltre dieci anni fa con il recepimento della Raccomandazione CM/Rec (2010)5 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che aveva portato alla redazione della prima Strategia nazionale LGBT. 

L’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) ha redatto il documento insieme al Dipartimento per le Pari Opportunità, dopo un percorso di collaborazione e confronto con le associazioni che compongono il Tavolo di consultazione permanente per la promozione dei diritti e la tutela delle persone LGBT+,  il coinvolgimento delle istituzioni a tutti i livelli e degli stakeholder interessati. Sono sei le priorità individuate: 

  • Lavoro e Welfare 
  • Sicurezza 
  • Salute 
  • Educazione/Formazione/Sport 
  • Cultura/Comunicazione/Media 
  • Database/Monitoraggio/Valutazione 

Per ognuna di queste priorità sono definiti gli obiettivi da raggiungere e le azioni da implementare, si accenna inoltre anche ai progetti in corso o che si sono già conclusi.  

Rispetto al macrotema Lavoro e Welfare, oltre a tutti i riferimenti normativi legati al contesto, troviamo anche un intero paragrafo dedicato ai Dati a supporto delle politiche di Diversity Management. La Strategia Nazionale LGBTQ+ infatti, supporta la promozione di una diversa cultura organizzativa all’interno delle aziende, incentrata appunto sul Diversity Management e che «pone l’attenzione sulla relazione organizzazione-persona in funzione del raggiungimento degli obiettivi aziendali».   

Sempre nel testo della Strategia si può leggere inoltre un’interessante definizione della cultura del Diversity Management data da Luca Solari, Ordinario di Organizzazione aziendale presso l’Università degli Studi di Milano, che la descrive come «la cultura dell’approccio diversificato alla gestione delle risorse umane, finalizzato alla creazione di un ambiente di lavoro inclusivo, in grado di favorire l’espressione del potenziale individuale e di utilizzarlo come leva strategica per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi». 

Sono quattro gli obiettivi connessi al mondo del lavoro: 

  1. Diffondere la cultura del lavoro fondata sulla inclusione promuovendo strategie aziendali che migliorino le condizioni lavorative 
  2. Promuovere l’inclusione lavorativa delle persone transgender 
  3. Sviluppare azioni di promozione e valorizzazione di buone pratiche in materia di inclusione socio-lavorativa delle persone LGBT+, mediante il coinvolgimento degli stakeholder  
  4. Promuovere azioni di prevenzione e contrasto alle discriminazioni nei confronti delle persone LGBT+ nell’ambito lavorativo. 

Rispetto al secondo obiettivo, ad esempio, sono previste azioni che agevolano l’accesso al mondo del lavoro «anche mediante incentivi alle aziende, borse lavoro o tirocini professionalizzanti» 

Tra le azioni già realizzate invece troviamo la traduzione e diffusione delle linee guida ONU per le imprese sull’inclusione delle persone LGBT+ nel mondo del lavoro; l’azione di in/formazione e accompagnamento all’autoimprenditorialità per le persone trans e l’indagine ISTAT sul Diversity management nelle aziende italiane. 

Tanti quindi i progressi realizzati in questo senso nel mondo del lavoro, ma cosa invece rispetto alle misure di welfare come ad esempio i congedi parentali per le coppie omogenitoriali?  

Purtroppo non altrettanto bene, perché su questo tema in Italia esiste un vero e proprio vuoto normativo. Da Arcigay infatti fanno sapere che si tratta di una situazione a macchia di leopardo definita da iniziative di singoli comuni o singole aziende virtuose, come nel caso dell’azienda Zeta Service. 

La questione è legata al riconoscimento della genitorialità, un tema che resta escluso dalla Legge 76/2016, conosciuta anche come Legge Cirinnà. Quindi, salvo i casi di alcuni comuni illuminati che decidono di trascrivere il nome di entrambi i genitori sull’atto di nascita del bambino, o di singole aziende che decidono di agire in autonomia, ad oggi la situazione è questa 

Ai genitori delle coppie omogenitoriali non resta spesso altra scelta che rivolgersi a un tribunale per vedersi riconosciuti i propri diritti e fortunatamente il supporto da parte delle associazioni dedicate non manca, come ad esempio il lavoro svolto da Rete Lenford. 

Insomma, i congedi parentali per le coppie omogenitoriali ad oggi non sono ancora un diritto riconosciuto a livello normativo e la strada per il raggiungimento di questo obiettivo sembra ancora molto lunga.   

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