Noi donne, e l’arte amara di arrangiarsi

Sei, sette, otto settimane di reclusione da Coronavirus, il timore di ammalarsi o che qualcuno in famiglia restasse contagiato, l’incertezza sul presente e sul futuro prossimo. Di questo sono fatte le nostre giornate, oggi. E potrebbe bastare. Invece no, non basta. Perché ora che si torna al lavoro, per chi ancora un lavoro ce l’ha ma ha anche dei figli in età scolare, si profila una nuova ansia: chi starà con i ragazzi?

A scuola non possono andare,  fino a settembre (se va bene) non se ne riparla. I nonni no, perché bisogna proteggerli dall’eventualità del contagio sempre in agguato. Ho posto la domanda a vari interlocutori. I politici di governo mi hanno risposto: c’è il bonus baby sitter. Ma seicento euro coprono un mese, nella migliore delle ipotesi due. E dopo? Ci sono famiglie in cui entrambi i genitori non possono lavorare da remoto. Famiglie composte da un solo genitore. Chi non ha parenti giovani o amici su cui contare, chi non può permettersi per cinque mesi il costo di una baby sitter, ammette di avere di fronte la sgradita eventualità di dover negoziare con l’azienda un periodo di congedo. Non pagato.

Insomma, è facile prevedere che le italiane lavoratrici saranno tra le più penalizzate dagli effetti del coronavirus.

Da quando le scuole si sono chiuse per effetto del Covid-19 ho dedicato alla questione varie puntate di Nessuna è perfetta, il programma della domenica di radio24. Ho interloquito con mamme manager e mamme con lavori molto meno remunerati. La realtà è la stessa: se la coppia lavorava in smart working, il papà stava chiuso tutto il giorno in una stanza provvista di computer, mentre la mamma tra una riunione e l’altra faceva i compiti con i figli, la lavatrice, o la spesa.

Neanche un’epidemia che ci ha costretto a rivedere molte certezze sembra in grado di scalfire la rocciosa riluttanza di molti (non tutti) maschi italiani. Alcuni, a dire la verità, hanno scoperto quanto è pesante occuparsi della vita domestica e contemporaneamente del lavoro, ma intanto, almeno mentre scrivo, la grande domanda che aleggia da sempre sulle famiglie italiane, stavolta pesa come un macigno. E la domanda è: come ci arrangeremo? Come organizzare la vita di ragazzi che per mesi – di fatto – non studieranno? Come fare  recuperare le voragini nell’istruzione?

Se non si può lavorare da remoto (ci sono lavori che da remoto non si  possono fare: in Gran Bretagna, per esempio, le scuole sono rimaste aperte per i figli di medici e infermieri, in Italia no), fino a quando potrò chiedere un permesso al mio datore di lavoro? E  se è un permesso non remunerato alla fine come tirerò avanti?

Tante domande e, in apparenza, almeno per ora, nessuna strategia precisa. Le donne italiane sono abituate ad arrangiarsi. Ecco, speriamo che d’ora in poi l’arte di arrangiarsi non sia più una delle cose per cui gli italiani sono noti nel mondo. Speriamo che non sia lasciato alle famiglie il compito di trovare una soluzione. Dicono tutti che il Covid-19 rivoluzionerà le nostre vite. Cominciamo dalla rivoluzione che conviene a tutti: conciliare finalmente lavoro e famiglia. 

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