Settimana corta: siamo davvero pronti?

Le aziende italiane dovrebbero considerare seriamente la settimana corta? 

Molti studi ed esperimenti mostrano un aumento nella produttività e nella felicità in chi lavora 4 giorni su 7, o comunque non oltre 35-36 ore alla settimana. 

Negli ultimi anni molte realtà aziendali e amministrazioni pubbliche hanno iniziato a sperimentare la settimana corta, che consiste sostanzialmente nella riduzione del monte ore lavorative, con il mantenimento dello stesso stipendio. Molti studi e indagini sulla produttività aziendale e sul benessere personale e collettivo dei dipendenti dimostrano infatti che lavorare di meno produce risultati migliori e migliora il benessere dei dipendenti. La pandemia ha accelerato il cambio di prospettiva, mostrandoci che esistono altri modi di lavorare oltre alle consuete 8 ore in ufficio e molte compagnie con un senso moderno e flessibile del welfare stanno iniziando a sperimentare la settimana corta, quasi sempre con successo. 

Uno dei più grandi esperimenti sulla settimana corta fatti finora si è tenuto in Islanda tra il 2015 e il 2019. Oltre 2.500 lavoratori pubblici (dai diversi impieghi) sono passati dalle 40 ore settimanali a circa 35-36 ore, con la paga rimasta invariata. La produttività è aumentata in quasi tutti gli uffici, o è perlomeno rimasta invariata. Un esempio? Nel dipartimento di contabilità della capitale Reykjavik i lavoratori hanno iniziato a processare il 6,5 per cento delle fatture in più quando hanno diminuito le ore lavorative. Sono parallelamente migliorati tutti gli indicatori del benessere dei dipendenti, dallo stress percepito alla salute, fino al bilanciamento tra lavoro e vita privata. Tutto questo ha portato a una grande rivoluzione nel mondo del lavoro islandese e oggi circa l’86% di tutta la forza lavoro dell’isola ha iniziato a lavorare meno ore o ha comunque guadagnato il diritto a diminuire le ore lavorative. 

La settimana corta non ha una forma univoca: si può lavorare quattro giorni su cinque, (il 20% delle ore in meno, quindi), possono riposare tutti lo stesso giorno oppure ogni persona può scegliere un giorno di riposo, o magari prendersi due pomeriggi liberi. Oppure semplicemente si può passare da 8 a 6-7 ore al giorno, mantenendo lunedì-venerdì come base. A questi schemi possono aggiungersi dei giorni di lavoro da remoto. La cosa fondamentale della settimana corta è che la paga rimanga la stessa, chiaramente. 

Tutto questo ha, tra le altre cose, un grande beneficio ambientale (si scalda l’ufficio un giorno in meno, si lascia la macchina in garage un giorno in più), e permette alle persone di avere un po’ più di tempo da dedicare a loro stessi e ai propri cari. Secondo alcuni esperti, 35 ore a settimana sono la quantità di tempo giusta prima che la produttività cali. John Trougakos, professore di Organizational behavior della University of Toronto ha detto alla Bbc che la nostra energia non può essere sostenuta per otto ore consecutive e che mantenere alta l’attenzione per un lungo lasso di tempo è complicato. Per questo, gran parte dei lavoratori trascorre molto tempo (fino a 2 ore e mezza al giorno, secondo uno studio del 2015) a divagare su internet, scrollando la bacheca dei social, facendo acquisti online e messaggiando su WhatsApp. Accorciare la settimana lavorativa permetterebbe inoltre di snellire alcune procedure eccessivamente dilatate, come le (spesso inutilmente) eterne riunioni, le lunghe pause caffè e i momenti morti trascorsi a scaldare la sedia. La cosa cruciale della settimana corta, però, è davvero che rende i lavoratori più in salute e quindi più coinvolti nel progetto. Ci sarebbero tanti altri case studies da citare, molti dei quali provengono dall’Europa del Nord, come spesso accade capofila su questi temi. 

Ci sono anche, chiaramente, degli aspetti negativi o comunque da non sottovalutare. Intanto, non tutte le filiere possono partecipare. Pensiamo a dei servizi importanti per i cittadini come il customer care delle compagnie: se lavorassero meno, questo comporterebbe un disagio non indifferente per le persone. Inoltre, soprattutto se la settimana corta dovesse diventare molto flessibile (per esempio ognuno sceglie il proprio giorno libero), potrebbe essere complicato organizzare i team e il lavoro di gruppo. Un altro dei fattori di preoccupazione per le aziende è quello economico: riuscirò a raggiungere gli stessi risultati lavorando meno e spendendo gli stessi soldi? In generale, le ricerche mostrano che sì, si può lavorare meno e meglio, però in alcuni settori o casi specifici stoppare il lavoro per tre giorni, o non avere tutta la forza lavoro a disposizione per cinque giorni consecutivi potrebbe causare dei problemi. 

E l’Italia? Qualcosa si sta muovendo, soprattutto in alcune compagnie importanti: è il caso del gruppo Mondelez International Italia, parte di una multinazionale attiva nel settore alimentare. Per i suoi uffici di Milano, il mese scorso Mondelez ha accorciato la settimana, dando la possibilità ai dipendenti di distribuire il lavoro su 4,5 giorni lavorativi, permettendo inoltre loro di fare due giorni di home-working a settimana e di pianificare le proprie ferie individualmente, senza scegliere un determinato periodo imposto dall’azienda. Questa nuova organizzazione si chiama Workplace of the Future e parte da un dialogo (avviato con un sondaggio) mirato ad ascoltare i bisogni dei lavoratori. Mondelez non è l’unica: aziende come Carter&Benson (consulenza) e Awin Italia (marketing) hanno diminuito le ore di lavoro durante il lockdown, confermando la misura per l’anno successivo. Ci sono poi anche piccole aziende che stanno provando la rivoluzione: perché di questo si parla, di un cambiamento potenzialmente epocale che, se portato avanti con intelligenza, misura e organizzazione, potrebbe renderci più produttivi. 

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