Quando lo studio non basta. La proposta del World Economic Forum

Il divario tra l’istruzione superiore e il mondo del lavoro si è allargato sempre di più negli ultimi anni. Non è un caso che l’opinione pubblica americana abbia sempre meno stima del mondo accademico-scolastico, visto sempre più come costoso, distante dai bisogni degli studenti e delle famiglie e ancora più distante dalle esigenze dei datori di lavoro e delle aziende. Nel nostro Paese invece, spesso, le piccole e medie imprese presentano posizioni di lavoro dove non è richiesta la laurea, ma dove basta un diploma di istituto tecnico o la formazione fornita da un Its. Oppure c’è un’altra strada che non è stata tentata, proposta dal World Economic Forum di Davos, che propone di cambiare radicalmente il modello educativo. L’impianto della riforma proposta inizia con un paper pubblicato lo scorso settembre da Sanjay Sarma, docente di Ingegneria meccanica presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston. In sintesi, questo modello si basa sul concetto di “insegnamento capovolto”, che ribalta le tradizionali nozioni di studio individuale a casa e di lezioni in classe. In pratica, le lezioni e i materiali didattici vengono fatti a casa mentre in aula si studia sì, ma con un approccio collaborativo e con il contributo e il coaching degli insegnanti. Proprio sulla qualità della docenza si basa il nuovo approccio, perché è da lì che passa la formazione degli studenti, anche più che con l’impianto educativo tradizionale. Anche le pause, ovvero le vacanze scolastiche, vengono ridistribuite. Dopo ogni trimestre ci sarà un mese di vacanza per consentire un pieno riposo a chi studia. Altro punto cruciale di questo nuovo approccio, si legge sul sito del World Economic Forum, sarà lo scambio di esperienza: i dirigenti d’azienda insegneranno in aula e i professori universitari saranno invitati a passare dei lunghi periodi nel mondo corporate per apprendere le dinamiche imprenditoriali. Insomma, questo scambio aiuterà a ricucire il gap tra due mondi che sempre più sembrano incomunicabili. Non sarebbe solo questo aspetto a cambiare, ma anche la struttura dei corsi accademici: ci sarebbe uno stop all’attuale modalità che di fatto fornisce un menù alla carta dove gli studenti possono scegliere i corsi che preferiscono, magari per ragioni di facilità o di piacevolezza. A sostituire la libera scelta degli esami da sostenere arriverebbero i moduli di “competenza”, che anche in un corso di laurea di Informatica conterrebbero elementi di Scienze sociali. 

Infine, si penserebbe anche a un aspetto oscuro dei percorsi scolastici o accademici: il tasso di abbandono. Chi concludesse almeno uno di questi moduli si ritroverebbe delle competenze utili nel mercato del lavoro. 

In conclusione, affermano gli autori del paper, è molto limitante il modello attuale che cerca di proporre un unico modello valido per tutti, serve un cambiamento generale per raggiungere gli obiettivi indicati dal Forum per il 2025: dieci competenze in modo da “resettare” il vecchio modo di lavorare. Uno scenario ambizioso che però difficilmente potrà avvenire entro i tempi previsti dall’organizzazione con sede a Davos. Più realisticamente, si può affermare che alcune competenze, come il senso critico e il problem solving avrebbero dovuto essere parte integrante del bagaglio di ciascun lavoratore sin da prima. Mentre l’apprendimento attivo, assimilabile alla formazione continua che già viene svolta internamente da diverse aziende anche con l’aiuto di soggetti formatori interni, è a portata di mano. Difficile invece capire come risolvere il punto 9 della lista di competenze, quello riguardante la resilienza e la resistenza allo stress. Non è facile per un dipendente lavorare sotto stress al meglio, specie se la sua produttività non viene valorizzata. 

Ad ogni modo, la riforma proposta dal World Economic Forum può servire da modello per integrare maggiormente il mondo aziendale con quello della formazione, anticipando agli anni dello studio l’acquisizione di competenze che spesso devono essere recuperate nel periodo lavorativo, accumulando carichi di lavoro spesso pesanti sui singoli individui che cercano di essere più apprezzati dal mercato del lavoro. 

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