«Questa è la storia di un gatto che si chiamava Milano. Il suo padrone era il capostazione di Bologna. Quando arrivava un treno il gatto correva fuori a vedere; il capostazione correva fuori per paura che il gatto finisse sotto il treno e lo chiamava: Milano, Milano! E tutta la gente, credendo di essere già arrivata a Milano, giù dal treno, fregandosi le mani. Di qui molte confusioni e avventure».
Gianni Rodari, Discorso alla consegna del Premio Internazionale Andersen, 1970
Ma davvero la nostra vita deve essere solo ed esclusivamente focalizzata sul lavoro? Tra lavorare per vivere e vivere per lavorare, qual è la scelta migliore? Insomma, da che parte stare? Parto dalle domande. E le risposte? In questo scenario così in divenire non è detto che ci siano, ma almeno ci si prova ad abbozzarle. Intanto iniziamo da un dato di fatto. Ancora oggi, come in passato, il tema del lavoro è centrale nelle nostre esistenze. Le riempie, che lo si voglia o no. Ma attenzione, qualcosa sta cambiando anche sul come più che sul cosa. Quello che oggi ci si prefigge è lavorare sì, ma farlo al meglio in un’ottica di benessere psico-fisico. Ossia stare bene anche sul posto di lavoro. Anche perché qualcosa non ha funzionato se ancora oggi si parla tanto di burnout. Spesso creiamo situazioni lavorative con aspettative che continuano a crescere e perdiamo di vista la nostra aspettativa reale. Però ci siamo svegliati e stiamo capendo che il sistema premiante non può essere basato solo sul riconoscimento. In fondo la trappola è che all'obiettivo raggiunto ne segua uno nuovo ancora più ambizioso e performante. Insomma, sostituire l’obiettivo con un altro più alto e poi con uno ancora di più. Allora le risposte che stiamo provando a dare partono necessariamente da ciò che sta accadendo: nel mondo ci sono equilibri che soddisfano non solo il riconoscimento professionale, ma anche l’adattamento psicofisico ottimale.
Quella Z consapevole e impaziente
Oltre la funzione da coordinare, il ruolo da presidiare, il risultato da ottenere, c’è un mondo da soddisfare. Ecco, credo che questa consapevolezza oggi arrivi proprio dalle nuove generazioni al lavoro con quella Z che di fatto è la prima che non sottostà a regole imposte. La mia, ossia la X, da sempre è stata super valutata perché centrava l’esistenza sulla triade lavoro-impegno-guadagno. Poi la generazione dei Millennials, quella nota come Y, è stata protagonista di uno “stagismo” esasperato e sovrautilizzato. Invece questa generazione Z è entrata nelle dinamiche professionali con la percezione che il proprio tempo è importante, anche perché la pandemia ne ha rubato assai prima, almeno un paio d’anni di adolescenza. Ecco, possiamo ritenere che il valore temporale non può essere quantificato in promesse, ossia in aspettative. La Z è disillusa delle promesse e quindi è molto più ancorata ai propri bisogni, al proprio benessere. Questi Zoomers se prima venivano descritti come sfaticati, oggi vengono apostrofati come consapevoli. Vivere e non sopravvivere, questo è il mantra. Penso a mio padre, a quando andava a lavorare: aveva devozione verso l’azienda che lo aveva preso dalla povertà e gli aveva permesso di costruirsi un futuro. Un senso di gratitudine profondo. Oggi invece le promesse che puoi scalare il vertice sono non più così prioritarie, forse anche perché irrealistiche. Ma attenzione: non hanno a che fare con la nobile virtù della pazienza. La domanda semmai è un’altra: perché devo diventare altro a quarant’anni quando posso fare già ciò che voglio a vent’anni?
Ridere (e sorridere dei guai)
Ogni tanto qualcuno mi chiede: ma in questa fase segnata dall’economia dell’incertezza e da continue brutte notizie, c’è ancora qualcosa da ridere? Insomma, si possono ancora adottare le leve dell’ironia in azienda per fare la differenza? Ecco, io mi rifaccio a una narrazione in cui l’umorismo non insegna, ma rivela. E lo fa attraverso la leggerezza. E qui capirete il riferimento apparentemente incomprensibile del capostazione di Bologna e del suo gatto Milano di quel genio di Gianni Rodari in testa a queste pagine. Con le leve dell’ironia puoi dire anche cose molto serie. Perché è una meraviglia ridere. La capacità ironica sta nel cogliere la discrepanza tra l’ideale e il reale. Da qui passa una forma di pensiero laterale per osservare le cose. La risata all’interno di qualunque processo, ma in modo particolare nei processi aziendali, è utile perché può sciogliere la tensione. Con HBE lavoriamo su quello che abbiamo definito, insieme a Fania Alemanno, «umorismo relazionale», ovvero funzionale per costruire relazioni, per renderle solide, non per distruggere o accusare qualcuno. L’umorismo è una capacità logica dell’intelligenza umana. Usare l’umorismo a lavoro non significa per il capo-ufficio raccontare barzellette, ma cogliere l’errore come opportunità, il momento di tensione come capacità di stemperare gli animi. L’ironia è indice di autenticità e al contempo espressione di responsabilità. Lega gli uni agli altri, rende evolute le organizzazioni. A livello cognitivo è una conferma che il cervello funziona perché mette in correlazione due informazioni, una condivisa e una imprevista. Questo processo è una forma di intelligenza, abbatte le distanze, ammorbidisce le problematiche, evidenzia e rafforza autorevolezza e leadership. Ridere consolida le relazioni. L’azione comica è sempre un atto di responsabilità: quando a esercitarla è il più alto in grado, il potenziale impatto – costruttivo e distruttivo – della battuta cresce. Ridere con o di è una scelta consapevole perché a una battuta si ride per il testo, ma se ne condivide il sottotesto. Ogni volta che scegliamo di far ridere, stiamo anche scegliendo quale messaggio profondo trasmettere. E questo implica assumersi pienamente la responsabilità di ciò che si innesca.
Ma in chiusura me la faccio io una domanda: ma come interpreterebbe il Signor Imbruttito il moderno luogo di lavoro? Ecco, anche lui col tempo è cambiato. In fondo è più consapevole. L’errore di base per lui è sempre stato pensare solo ed esclusivamente al fatturato, ma ora ha capito che ciò che conta è il margine. La differenza è tutta racchiusa in quel delta. Anche perché non puoi gestire l’instabilità. D’altronde se non sai ballare, come puoi affrontare un mondo che traballa? In fondo devi imparare a stare in equilibrio pure tu. Concentrato e sorridente come un funambolo.
Il presente articolo è tratto dall’ultima edizione di LINC uscita a giugno 2025. L'illustrazione di copertina è stata realizzata da Gio Pastori.
Attore, comico, docente, formatore e webstar, Germano Lanzoni è protagonista di numerosi progetti artistici e di comunicazione, tra cui Il Milanese Imbruttito, Il terzo segreto di satira, Trecital e Milano5.0. È il cofounder di HBE - humorbusiness.it, hub creativo che sperimenta l’utilizzo dell’umorismo quale forma di comunicazione funzionale all’intrattenimento, al business e al benessere
