Il sogno industriale italiano in mostra alla Biennale

Dopo un periodo di attesa durato eccezionalmente tre anni, l’Esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia, giunta alla sua 59esima edizione, apre di nuovo i suoi spazi al pubblico, dal 23 aprile al 27 novembre. Curata da Cecilia Alemani, prima donna italiana a ricoprire questo ruolo, la manifestazione si intitola Il latte dei sogni, un omaggio al libro di racconti per bambini della scrittrice e pittrice britannica Leonora Carrington: un viaggio visionario tra le esperienze artistiche del passato e le sperimentazioni e suggestioni degli interpreti contemporanei

Ed è proprio la metafora del viaggio, del dialogo tra le diverse dimensioni temporali a riempire prepotentemente gli spazi delle Tese delle Vergini dedicati al Padiglione Italia, che esibisce per la prima volta l’opera di un unico artista: la scelta è ricaduta su Gian Maria Tosatti e sulla sua installazione ambientale Storia della notte e destino delle comete. La mostra, a cura di Eugenio Viola, con la maison Valentino come main partner, si articola in tre aree espositive differenti che raccontano l’ascesa e il declino del miracolo industriale italiano e del suo modello produttivo. Entrando nel primo spazio, lo spettatore è invitato ad ammirare la rappresentazione di un’industria da poco abbandonata, con Senza Fine – come si immaginava potesse essere il boom economico nazionale del secondo dopoguerra – di Gino Paoli in sottofondo. Attraversando una sala deserta con una sola scala al centro, si raggiunge il secondo spazio, il piccolo appartamento – anche questo abbandonato – del proprietario, dalla cui finestra si scorge un’immensa distesa di macchine per cucire Singer. La parabola si conclude nello spazio successivo, un mare nero animato unicamente dalle luci di centinaia di lucciole, un chiaro riferimento alla frase scritta nel 1975 da Pier Paolo Pasolini ne Il vuoto del potere: «darei l’intera Montedison per una lucciola».

I simboli, le immagini e i codici interpretativi dei primi due spazi, la Storia della notte – facilmente assimilabili al prologo e al primo atto di una tragedia classica, considerata l’impronta teatrale dell’intera composizione – espongono il fallimento del sogno industriale nostrano, portando virtualmente in scena tutte quelle fabbriche, frutto di un’impostazione lavorativa novecentesca, che non hanno saputo innovarsi e interpretare le esigenze dei mercati e dei propri lavoratori, decretando quindi la loro fine. L’atto successivo, il capitolo dedicato al Destino delle comete, invita alla riflessione, lasciando aperte future possibilità di recupero e ripartenza per lo scenario produttivo italiano: l’interrogativo da porsi e il rapporto da inquadrare è quello tra uomo e natura, tra utilizzo delle risorse a nostra disposizione e sostenibilità. La contraddizione pasoliniana che imponeva una scelta definitiva tra questi due poli, riassunti nel provocatorio binomio di Montedison e lucciole, potrebbe finalmente venire risolta. Come dichiarato da Tosatti stesso in un’intervista su Vanity Fair, il lavoro deve essere generato nuovamente e, parafrasando Agamben, si deve tornare al punto di rottura che ha creato una diversione deleteria e cambiare direzione. Nelle parole di Pierpaolo Piccioli, direttore creativo della casa di moda romana coinvolta nel progetto, si intravede una soluzione potenziale a questo problema: «bisogna ricercare nuovamente la specificità. Il fallimento del sogno industriale italiano è coinciso con la perdita di identità, di specificità dei prodotti. Si è inseguito il mito della produzione di massa, della quantità a discapito della qualità». Tornando a concetti quali il valore, l’identità e l’unicità è possibile motivare i lavoratori, affidando nuovamente a tutte le professioni senso e significato: «il lavoro deve diventare uno strumento evolutivo per le persone. Attraverso il lavoro, le persone devono poter capire di migliorarsi. Questa è la vera rivoluzione da affrontare». La storia della notte può essere invertita e le comete possono puntare ad un destino alternativo.

*Courtesy DGCC – MiC

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