L’acronimo ESG è al lavoro

Nuove sensibilità e nuove logiche di business guidano la trasformazione delle organizzazioni verso una reale sostenibilità, a partire dal controllo della catena di approvvigionamento fino a toccare le competenze green sui luoghi di lavoro.

La trasformazione verso un sistema sociale più attento alla sostenibilità è cominciata già da molto tempo, ma soltanto da pochi anni la sensibilità media delle persone ha cominciato a orientare le proprie scelte di vita verso pratiche più consapevoli e orientate al benessere, quello proprio e degli altri. Un cambio di paradigma che sta cominciando ad affermarsi anche nelle aziende, da sempre sintonizzate sui cambiamenti nella società e oggi sempre più disposte ad affiancare alla logica del profitto l’impegno verso il sociale e la tutela dell’ambiente. 

L’attenzione verso i criteri ESG (environmental, social and governance) guida ormai dall’interno molte delle strategie d’impresa fino a toccare le complesse logiche della supply chain, vale a dire la catena di approvvigionamento che comprende tutto il flusso produttivo da monte a valle, dalla consegna dei materiali di base da parte del fornitore fino alla vendita e alla consegna all’utente finale. Si tratta di una rivoluzione epocale che tiene insieme concetti un tempo quasi inconciliabili come business, sostenibilità e ricadute sociali, in una logica di mutua opportunità. 

Vantaggi economici, comunitari e reputazionali 

Essere ESG compliant, cioè azienda in linea con i principi ESG, offre una serie di vantaggi che spaziano dall’ambito economico a quello reputazionale, passando per il benessere della comunità e del territorio di riferimento insieme a quello dei lavoratori. Ma l’implementazione delle migliori pratiche ESG implica anche il miglioramento del welfare aziendale, l’inclusione sociale e il riconoscimento della diversità. Non per niente l’adesione ai criteri ESG consente all’impresa di sfruttare una serie di agevolazioni fiscali e previdenziali piuttosto importanti. 

Dal punto di vista dei dipendenti, inoltre, alcune certificazioni aziendali come la Iso 45001 sulla salute dei lavoratori o quella relativa alla norma Uni/Pdr 125:2022 sulla parità di genere in azienda, oltre a permettere il raggiungimento di punteggi di valutazione più elevati nei bandi di gara pubblici o nell’ottenimento di fondi europei o nazionali, offrono alle imprese un vantaggio reputazionale inestimabile che è possibile poi spendere in termini di comunicazione o per attirare nuovi talenti in fase di recruiting

Ma è sul fronte esterno all’azienda, quello del marketing verso i consumatori, che il beneficio dei criteri ESG si fa davvero consistente. 

Consumatore globale sempre più sensibile

I temi della sostenibilità e della responsabilità sociale d’impresa sono infatti apprezzati da tutti i consumatori, anche se in modo particolare dalla generazione Z, vale a dire i nati tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemiladieci. Contrariamente all’opinione diffusa è infatti interessante notare che la preferenza per i valori green non è limitata soltanto ai consumatori più giovani ma coinvolge un po’ tutte le generazioni, come dimostra una recente indagine dell’IBM Institute for Business Value: più della metà dei consumatori globali di tutte le fasce d’età, cioè ben il 51%, afferma che la sostenibilità è più importante per loro rispetto a un anno fa, e circa il 49% di loro dichiara di aver speso di più nell’ultimo anno pur di acquistare un prodotto sostenibile. Per quanto riguarda poi i venti-venticinquenni, la recente survey svolta dal Baker Retailing Center della Wharton University of Pennsylvania ha dimostrato che la preferenza per prodotti sostenibili è ancora più forte per la Gen Z, con il 75% degli intervistati che attribuisce alla sostenibilità maggiore importanza rispetto al brand quando si prende una decisione di acquisto. 

Emerge quindi come il tema dell’impegno e della trasparenza rappresenti un valore sempre più decisivo per le scelte dei consumatori. Insomma, non c’è più spazio per la retorica, la gente è stanca di chiacchiere e la forte crescita dei consumi green sta a dimostrarlo. 

La sostenibilità dalla prospettiva delle aziende

E se la transizione verde sta guadagnando consensi tra tutti i consumatori, anche i grandi decisori delle aziende globali stanno prestando grande attenzione al fenomeno. Riuscire a dimostrare la bontà delle proprie scelte green lungo tutta la supply chain sta infatti diventando un obiettivo standard per le aziende, insieme alla possibilità di vantare a livello comunicativo l’applicazione delle migliori pratiche aziendali in tema di sostenibilità ambientale e di responsabilità sociale come valore aggiunto per la comunità di riferimento

Ma obiettivi così sfidanti fanno emergere anche alcune lacune strutturali nelle imprese globali. Secondo il report 2023 The Greening World of Work di ManpowerGroup, quasi otto organizzazioni su dieci sono in procinto di pianificare la propria strategia ESG, ma il 94% delle aziende non dispone del personale adatto per implementare i propri processi. Mancano quindi le competenze. E tutto questo rappresenta un grosso problema dal momento che, come si evince dalle stime del World Economic Forum (WEF), il 61% della forza lavoro globale avrà bisogno di ulteriore formazione in senso green entro il 2027. 

Nuove competenze: la grande sfida delle aziende

Sono molte le nuove figure professionali nate dall’espansione delle pratiche ESG, e non si tratta solo delle classiche professioni legate al mondo delle energie rinnovabili, del riciclo e del management energetico, i cosiddetti green jobs. Il novero dei nuovi mestieri comprende anche parte del settore delle certificazioni, siano esse ambientali e sociali, e una serie pressoché infinita di occupazioni tradizionali che spaziano dall’edilizia all’automotive sino al turismo, e che si stanno rinnovando in senso green. La transizione verde potrebbe creare fino a 30 milioni di posti di lavoro a livello globale nel settore dell’energia pulita, dell’efficienza e delle tecnologie a basse emissioni entro il 2030, sempre secondo le stime del WEF.

E intanto la battaglia per i talenti verdi è già iniziata: oggi il 70% dei datori di lavoro a livello globale afferma di essere impegnato in assunzioni per lavori green. E sempre secondo lo studio di ManpowerGroup l’interesse maggiore è verso i ruoli di funzioni tecniche qualificate come produzione (36%) e operazioni e logistica (31%). Ma si cercano anche competenze verdi per ruoli nei settori IT e data (30%), nelle vendite e nel marketing (27%), nell’ingegneria (26%), nell’amministrazione e nel supporto all’ufficio (25%) e nelle risorse umane (25%).

Anche i lavoratori vogliono occuparsi di green

L’impatto di queste tendenze globali sulla pianificazione della forza lavoro è quindi già piuttosto sensibile ed è destinato a rafforzarsi nel tempo, come emerge con chiarezza dai dati del WEF: le aziende temono infatti che l’incapacità di attrarre risorse adatte (53%) e le lacune di competenze nei mercati del lavoro locali (60%) costituiranno i maggiori ostacoli alla trasformazione delle proprie imprese. Inoltre, come evidenzia ancora il documento citato, a livello globale solo il 6% dei datori di lavoro con obiettivi ESG possiede il personale necessario per raggiungerli. 

Eppure il desiderio di essere impiegati negli ambiti ecogreen sembra essere molto forte tra i lavoratori: la maggioranza dei candidati di tutte le età a livello globale è più disposta a candidarsi (67%) e ad accettare (68%) lavori presso organizzazioni che percepisce come sostenibili dal punto di vista ambientale, secondo IBM Institute for Business Value. Inoltre, in tutte le fasce d’età, tre dipendenti su quattro vorrebbero che la propria azienda ponesse una maggiore enfasi sulle questioni ambientali e sociali (Report McKinsey 2022). 

Sarà quindi sempre più interessante osservare come le aziende riusciranno a far corrispondere la domanda di lavoro con l’offerta. Una sfida sempre più urgente.

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