Il 12 maggio 2021 l’alter ago di Carlo Massarini, Mr Fantasy ha compiuto 40 anni.
In questa intervista siamo entrati per un attimo nel magico mondo di Mr Fantasy, ripercorrendo con lui questi anni. È stato un po’ come fare un tuffo in un passato bellissimo che oggi, dopo due anni di pandemia, sembra ancora più lontano. Un passato fatto di concerti di leggende del rock, di lunghi viaggi in Canada, di incontri fortuiti, di un mondo digitale ancora da scoprire. E in futuro lo stesso Carlo vorrebbe farci rivivere certe emozioni: ha diversi progetti per festeggiare questo compleanno speciale, tra cui interpretare Mr Fantasy in uno sceneggiato televisivo scritto da Diego De Silvia per Rai1. Ma partiamo dall’inizio.
Sei cresciuto tra La Spezia, il Canada, Roma, New York. Sapresti dire qual è il valore sociale e professionale di questo percorso?
«Sicuramente il dono più grande che mi ha fatto mio padre è stato quello di portarmi in Canada a sette anni, nel 1959. Quando vai in un Paese da così giovane e per un periodo così lungo, è chiaro che hai un vantaggio in termini professionali. Il mio percorso musicale è iniziato dalla conoscenza dell’inglese. Ho cominciato a tradurre i testi di Joni Mitchell, Leonard Cohen, Dylan nel 1970 per Per voi giovani, poi sono arrivato al microfono nel 1971. Da un punto di vista musicale tenevamo informati i ragazzi italiani su quanto stava accadendo all’estero. I dischi in Italia spesso e volentieri non uscivano, o uscivano mesi e mesi dopo. Nello stesso periodo ho cominciato a fare fotografie, che insieme al racconto hanno dato vita al mio libro Dear Mr. Fantasy 1969-1982 (l’anno scorso è uscita un’edizione ampliata), un diario di viaggio di quegli anni in cui nella musica “tutto era possibile”».
Come è nata questa tua passione per la fotografia?
«Ero in vacanza a Londra nel 1969, mio padre mi aveva prestato la macchina fotografica, e mi sono trovato sotto il palco dei Rolling Stones a Hyde Park, durante il concerto in memoria di Brian Jones, morto pochi giorni prima. Quello è stato il battesimo, poi ho visto, fotografato e scritto praticamente di tutti quelli che erano in giro negli anni Settanta. Nel 1976 sono arrivato alla direzione del magazine Popster, che poi è diventato Rockstar. Quindi il mio è stato un percorso davvero multidisciplinare tra radio, televisione, fotografia, scrittura».
Oltre al programma Mr Fantasy, in televisione hai avviato una discussione su tutto il mondo di internet con Mediamente, fino ad arrivare ai giorni nostri con Startup Economy.
«Si, era il 1995 e di internet allora si sapeva davvero poco, era solo una promessa tecnologica di cui non si percepiva l’importanza. Sono sempre stato abbastanza fortunato a stare sulla frontiera, e sempre abbastanza eclettico nel cogliere opportunità molto diverse una dall’altra. Startup Economy è un po’ un nipote di Mediamente per certi versi, e nei mesi di lockdown è stato l’unico programma ad essere girato interamente da casa».
Pensi che le competenze che hai appreso da tutte queste esperienze ti siano poi servite nell’ultimo anno e mezzo per affrontare un modo di lavorare diverso?
«Sì, questa è la chiave. Quando tu impari qualcosa te lo porti sempre dietro. Mano a mano che la tua esperienza aumenta, aumentano anche i tuoi punti di vista, quindi sicuramente potrai dare un contributo più completo rispetto a una persona che ha sempre fatto una sola cosa. Il lavoro sulla musica mi ha dato un approccio più rock, più disinvolto e informale. È stato molto utile in tutto il lavoro dal vivo, e in particolare negli eventi e nei convegni. Generalmente è un mondo molto rigido, lo rendo più flessibile, e con più ritmo. Poi capita che il mondo della musica e quello del convegno si mischino, con effetti curiosi. Ne ricordo uno in particolare, a Lecce, dedicato alla fibra, in cui il padrone di casa era così fanatico dei Genesis, che alla fine per quasi tutto il convegno invece di parlare di informatica digitale abbiamo parlato di musica!»
I social non li usi tanto però.
«Utilizzo Facebook perché mi consente di avere il mio ritmo. Io non sono uno sintetico, non sono uno che spara venti pareri al giorno, non ho un’opinione su tutto. Per questo non utilizzo Twitter, che trovo a volte anche rischioso perché è un social impulsivo. Potrei aprire Instagram, data la mia passione per la fotografia, ma farlo bene mi prenderebbe troppo tempo. Da questo punto di vista ho un piede nell’adesso e uno nel Novecento. Io in fondo vengo da una generazione che amava riflettere, che amava scrivere, che amava il pensiero lungo, non il pensiero breve e questo me lo porto dietro. Non so se è un limite nei confronti dei social ma sicuramente è una mia attitudine che mi tengo stretta. Quando scrivo di musica, come tutti i sabati su Linkiesta, vado molto in profondità. Lo considero un po’ l’aggiornamento di quelle letture sulle riviste o sui quotidiani del weekend che richiedevano tempo e attenzione. In questo mondo mordi e fuggi è un’attitudine ostinata e contraria, come diceva De Andrè, ma mi piace».