La Generazione Z non ha paura del lupo

Da una conversazione con Giuditta Avellina 

 

Se penso alla Generazione Z l’immagine che mi viene in mente è quella di giovani pronti a correre senza paura. Un’immagine in stile puntinista: devi osservarla nel complesso per capirla, non perderti nel dettaglio. La nostra generazione, come quelle precedenti, è stata educata con la paura. I nostri genitori, come i loro, ci raccontavano favole che ci hanno insegnato a temere streghe, sconosciuti e lupi. Un timore che crescendo ci è rimasto dentro, ci spinge a restare al sicuro, a non rischiare, se possibile. Ma noi non abbiamo educato così i nostri figli. Dunque la Generazione Z non ha paura del lupo. Non teme il rischio. Non hanno paura di quello che potrebbe accadere perché li abbiamo preparati a essere sempre in movimento, a cambiare, a cercare, a risolvere.

Questi giovani sono animati da un senso di irrequietezza, che chiamo “arteteca”, un termine napoletano che descrive proprio questa irrequietezza, l’incapacità di restare fermo, con il corpo e con la mente. Un movimento continuo, un moto perpetuo che li spinge a esplorare, ad adattarsi, a non fermarsi mai. Per loro, non mi sembra che esista una realtà prevalente: la loro visione è globale, fluida, in costante evoluzione. Questo è un modo di essere, che tocca tutti gli ambiti della loro vita: dal gioco, spesso virtuale, alle relazioni sociali, in gran parte dematerializzate. Questa intangibilità si riflette naturalmente nella formazione e nel lavoro, che sognano concreto, ma non necessariamente fisico. Sono giovani con una curiosità insaziabile e una capacità unica di adattarsi alle sfide più complesse. Amano le sfide, ma non sono competitivi.

Non si fermano davanti alla paura del fallimento. Non temono l’incertezza. Anzi, la cercano. La loro indole è quella di cercare il cambiamento, di spingersi oltre i limiti. Cercano equilibri dinamici, mentre noi cercavamo equilibri statici con centri di gravità permanenti, fissi e immutabili. Queste giovani donne e questi giovani uomini vivono nella costante ricerca di nuove esperienze e nuove opportunità. Non esercitano la disciplina come capacità di obbedienza, ma come voglia di coerenza. Dunque è normale che non sognino il “posto fisso”, ma la possibilità di contribuire a progetti significativi, che abbiano un impatto concreto sulla società e sull’ambiente. Onestamente, forse nemmeno noi sognavamo il “posto fisso”, forse era quello che sognavano per noi i nostri genitori, ma noi ce ne siamo accorti dopo. Loro invece lo sanno già. Forse proprio grazie ai nostri errori, che non abbiamo avuto paura di discutere con loro. Quindi non mi lamento della loro “arteteca”, ma me ne compiaccio. La Generazione Z ha imparato dai nostri errori e da quelli dei nostri genitori. Almeno loro ci sono riusciti.

L’ingegneria biomedica come ponte tra il passato e il futuro

Questa generazione è destinata a giocare un ruolo fondamentale in tanti ambiti, incluso quello dell’ingegneria biomedica, e questo mi entusiasma. Il nostro settore unisce ingegneria e medicina e si trova di fronte a sfide globali senza precedenti. Da un lato, malattie emergenti, invecchiamento della popolazione, disturbi cronici, cambiamento climatico, multi-pandemie: tutte sfide che richiedono soluzioni innovative. Al contempo abbiamo aspettative nei confronti della tecnologia che i nostri predecessori non avevano: sostenibilità, accessibilità, inclusività, democratizzazione e soprattutto nessun impatto ambientale. Aspettative perfettamente in linea con i loro valori. La Gen Z è infatti il riflesso del tempo in cui è cresciuta, così come il tempo che abita è, in gran parte, il frutto dei suoi ideali. Non è un caso che questa generazione abbia fatto della cura dell’ambiente e dell’inclusione i suoi valori fondanti, in sintonia con le due encicliche interamente scritte dal loro Papa, Francesco: Laudato si’ e Fratelli tutti. A ciò si unisce una comprensione intuitiva della tecnologia. Dispositivi che se per noi sono stati un sogno lontano, per loro sono strumenti quotidiani. La loro capacità di navigare nel mondo digitale e globale è un vantaggio enorme in un settore come il nostro, dove l’innovazione tecnologica e la dimensione globale sono la base di ogni progresso. Ma non è solo la loro conoscenza della tecnologia a essere importante, è la loro visione complessiva del mondo. Sono capaci di affrontare problemi complessi con mente aperta, pronti a sperimentare e a collaborare, senza il peso del passato che grava su di loro. In molti casi, sono proprio loro ad anticipare i bisogni futuri e a proporre soluzioni che a noi sarebbero sembrate inadeguate. In ingegneria biomedica questa mentalità è fondamentale: per decenni, abbiamo rivoluzionato biologia e medicina, oggi ci tocca rivoluzionare gli approcci alla salute pubblica e mondiale. Quindi la sfida non è solo trovare soluzioni tecnicamente sicure ed efficaci, ma anche integrare quelle soluzioni in un contesto internazionale, lavorando con team multidisciplinari di esperti provenienti da diverse parti del mondo. La collaborazione è la chiave. I giovani della Generazione Z sono abituati a lavorare in team internazionali, sono nativi digitali e comprendono l’importanza di unire le forze per affrontare le grandi sfide. Questa capacità di lavorare in team multidisciplinari, anche a livello sovranazionale, è un vantaggio che va sfruttato al massimo. In un mondo che cambia così velocemente, la capacità di condividere conoscenze, esperienze e valori diventa un moltiplicatore di efficacia. In un mondo di sfide complesse, la risposta è la multidisciplinarietà, in loro innata.

La tecnologia e l’intelligenza artificiale: opportunità e sfide

Un altro aspetto che mi preme sottolineare è il rapporto che la Generazione Z ha con l’intelligenza artificiale. Sono i primi cresciuti in un mondo dove l’AI è parte integrante della vita quotidiana: questi giovani non hanno paura della tecnologia, ma la vedono come una risorsa, un’opportunità per migliorare il mondo. La usano con continuità per gioco, per la vita privata, per lo studio e dunque anche per lavoro. Ma, come in ogni campo, l’uso dell’AI deve essere mediato da un approccio umano. La tecnologia è uno strumento potente, oggi come mai, ma è l’uomo che deve decidere come usarla, per evitare di perdere il controllo. In ingegneria biomedica, l’AI sta accelerando la scoperta di nuovi farmaci, la diagnosi e l’ottimizzazione di trattamenti, migliorando la qualità della vita dei pazienti. Diventa fondamentale che chi si avvicina a questo settore sia consapevole delle implicazioni etiche e sociali che l’uso dell’AI comporta. La tecnologia e l’economia a essa associata devono essere al servizio dell’umanità, mai il contrario. L’etica non è un accessorio, ma parte integrante della progettazione e dell’implementazione di soluzioni tecnologiche innovative. L’etica è necessaria soprattutto quando si percorrono sentieri nuovi, dunque non ancora regolamentati. L’etica è lo strumento necessario per i pionieri, e questa è una generazione di pionieri dell’AI. Questo strumento non è neutro e richiede la capacità critica di valutarne l’impatto su diverse popolazioni. Per questo motivo credo che bisogna smetterla di distinguere tra discipline STEM e discipline umanistiche. Dobbiamo ricongiungere le competenze tecniche con quelle umanistiche, in una visione integrata della formazione, prima e dopo la laurea.

Crescere in Italia, crescere nel mondo

La Generazione Z, pur continuando a vivere in un mondo sempre più globalizzato, non deve dimenticare che l’Italia offre opportunità incredibili. E nemmeno noi. Il nostro Paese offre le migliori opportunità di coniugare STEM e umanesimo, con la congiunzione unica di una tradizione di eccellenza in scienza, tecnologia, matematica e medicina e con il patrimonio culturale più ricco dell’intero sistema solare. L’Italia è il terreno ideale per chi vuole fare la differenza. Ma dobbiamo essere consapevoli che l’orizzonte per questi giovani non si ferma ai confini nazionali. La Generazione Z è quella che più di tutte è pronta a lavorare in contesti internazionali, ad aprirsi a esperienze globali e a contribuire a soluzioni che vadano oltre i confini. Questa tendenza a muoversi non ci deve spaventare. Dobbiamo invece chiederci come attrarre qui i talenti Gen Z che non hanno avuto la fortuna di nascere nel nostro meraviglioso Paese. E questi giovani possono fare da ponte – e non da muro – tra noi e il resto del mondo. Crescere in Italia, oggi, deve significare anche lavorare con le menti più brillanti da tutto il mondo. La collaborazione tra università, centri di ricerca e aziende è fondamentale, ma deve diventare globale. Solo così potremo affrontare le sfide future e dare risposte concrete alle necessità che ci attendono, creando ambienti stimolanti in linea con le aspettative di questa generazione. La Generazione Z ha tutte le carte in regola per diventare protagonista di questo cambiamento. Ma dobbiamo fare la nostra parte. Non dobbiamo chiederci come trattenere i nostri talenti, ma come creare ambienti di lavoro e crescita personale dinamici e stimolanti, che attirino i migliori talenti da altri paesi. Solo allora potremo davvero costruire un ecosistema dell’innovazione che parli italiano, la lingua più bella al mondo, ma in grado di farsi capire universalmente, come abbiamo saputo fare per tanti secoli. Per secoli, il segreto del successo dell’Italia è sempre stato questo: saper attrarre talenti da tutto il mondo, almeno quanti ne donavamo agli altri paesi.

Un mondo che cambia grazie a loro, unendo presente e futuro

In definitiva, il futuro è nelle mani della Generazione Z. Io fatico a chiamarli giovani o ragazzi, e parlare di loro al futuro. Il loro tempo è oggi, non domani. Dobbiamo saper dare loro spazio. Questi giovani uomini e donne hanno davanti a sé un mondo in continuo cambiamento, che affrontano con determinazione, curiosità e una spinta inarrestabile verso l’innovazione. Sono pronti ad aiutarci a sfidare le nostre paure, creando con noi soluzioni giuste, prima che utili, che renderanno migliore la nostra vita. Il loro contributo in ingegneria biomedica, nella tecnologia, nella medicina e in altri settori è fondamentale per affrontare le sfide globali che ci attendono. La chiave per il successo di questa generazione è nella loro capacità di collaborare, di crescere insieme, di imparare l’uno dall’altro, in un mondo senza confini. E se riescono a fare questo, se riusciremo a guardare al nostro lavoro con i loro occhi e a lavorare insieme, sono convinto che questi pionieri ben dotati di “arteteca” riusciranno a realizzare cose straordinarie, per noi inimmaginabili. La Generazione Z non ha paura del lupo, ma, ne sono sicuro, ci insegnerà a convivere con lui.

 

*Il presente articolo è tratto dall’ultima edizione di LINC uscita a giugno 2025. L'illustrazione di copertina è stata realizzata da Gio Pastori.

 

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Leandro Pecchia è professore ordinario di ingegneria biomedica e Presidente del Corso di Laurea Magistrale in ingegneria Biomedica presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma. Dopo oltre dodici anni nel Regno Unito e tre all’OMS, è tornato in Italia come voce autorevole nel campo dell’AI e dell’ingegneria biomedica per la salute globale, guidando ricerche all’avanguardia nel laboratorio di Intelligent Health Technology, in collaborazione con decine di aziende e università in Europa e Africa 

 

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