Il lavoro che verrà

Parto con la profezia di Bill Gates: «Lavoreremo due giorni alla settimana grazie all’AI». 

Secondo il fondatore di Microsoft le professioni sanitarie e quelle legate all’insegnamento saranno quelle che si trasformeranno più velocemente. Non so se Gates abbia ragione o meno. So che sarà l’intelligenza artificiale a plasmare il nostro lavoro nel futuro. Come dico sempre – e i conflitti attuali nel mondo lo dimostrano – sono molto più spaventata dalla possibile miopia umana che dall’intelligenza artificiale. Siamo noi, con i nostri pregiudizi, a plasmarla. Semmai dovremmo lavorare su questo. Il fatto però che siamo noi a costruirla mi fa apparire questo più “leonardesco” che non, per esempio, meccanico alla Charlie Chaplin in Tempi Moderni. Gates, infatti, sottolinea nell’intervista a Jimmy Fallon che gli esseri umani non saranno più necessari per la maggioranza delle cose. Vi ricordate Chaplin in fabbrica in quel movimento spersonalizzante? Destra e sinistra, destra e sinistra, fino a stancarsi talmente tanto da barcollare al rientro a casa.  

Per questi lavori meccanici ben venga l’intelligenza artificiale che ci permette invece di investire più tempo nella creatività, nel pensiero. Credo che oggi ripensare il concetto di lavoro sia un esercizio necessario. L’altro giorno un amico – persona che stimo molto, fisico – mi diceva: «Sai che uso Chat GPT per i miei articoli?». Mi fa capire che sono comunque articoli “suoi”. «Imposto cosa voglio, quali citazioni mi servono, che tipo di ricerca mi occorre: cosa che mi toglieva almeno tre ore di tempo. Poi controllo, verifico, scrivo l’articolo aggiungendo le mie valutazioni, le mie conclusioni, la mia tesi insomma. L’articolo è comunque mio, al cento per cento dato che le domande che poniamo all’AI variano da persona a persona». A me piace tantissimo scrivere. Non so se mai riuscirò a farlo. Ma se la usiamo per scrivere è perché giochiamo spesso su decine di palloni. Non abbiamo il dono più prezioso – sul quale sì, l’AI potrebbe aiutarci: il tempo. Se avessimo il tempo nella parte creativa forse non useremmo per nulla Chat GPT.  

Penso anche ai giovani. La mia generazione (e altre dopo la mia) sono cresciute in un mondo più creativo: dovevamo pensare alla soluzione dei problemi, fare ricerche, cavarcela da soli. Non dico che una generazione completamente plasmata dalla tecnologia rappresenti necessariamente un aspetto negativo ma modus est in rebus e sarà l’uso che queste generazioni faranno di strumenti quali Chat GPT a fare la differenza. Faccio un esempio. Se studio Cartesio e chiedo a Chat GPT di interpretare il filosofo al quale, sulla base del mio studio, io posso fare delle domande è un conto. Se chiedo a Chat GPT: «Riassumimi Cartesio e Hobbes» è un altro. Sarebbe l’appiattimento assoluto. Sulle domande che facciamo all’intelligenza artificiale, sull’allenarci a essere più scaltri di lei si giocherà tutto.  

Credo altresì che per le professioni come quella sanitaria l’AI serva moltissimo. Immaginate per una diagnosi cosa significhi scandagliare decine e decine di documenti in pochissimo tempo. Alcuni esperti ne sottolineano il potenziale per quanto concerne la lotta contro malattie quali l’Alzheimer, la malaria, l’HIV. Se ognuno di noi in questo momento pensasse a questo periodo dello scorso anno cosa ricorderebbe: il lavoro o cosa ha fatto con il partner, la famiglia, gli amici? Probabilmente ricorderebbe il viaggio, la mostra, la cena. Per questo l’AI – se usata bene perché modus est in rebus – può darci la grande occasione di ripensare il tempo dedicato a noi nella nostra vita.  

Dico questo perché, per caso , l’avvento della tecnologia ci ha aiutato? Per qualche aspetto, pur non trascurabile, ha anche funzionato. Ma la verità è che siamo comunque immersi nei compiti da svolgere e che i consumatori sono stati spinti verso cicli insostenibili. Che fine faranno le persone il cui lavoro sarà sostituito dall’AI? I politici saranno in grado di risolvere il sorgere di problematiche legate alla gestione del tempo? Speriamo non abbiano la stessa capacità che mostrano in tema di commercio internazionale.  

Viviamo in un mondo le cui tendenze cambiano molto velocemente. Sembrava che con il Covid tutto fosse finito: basta lavoro in ufficio; come faranno gli esercenti in città senza il giro d’affari dovuto ai dipendenti delle società? Invece le big tech, le grandi banche hanno richiamato i lavoratori in sede: questo è. La risposta onesta a come cambierà il lavoro nel futuro è che non lo sappiamo. Quello che spero è che l’intelligenza artificiale sia utile ad alcune professioni, sia utile nella lotta contro il cancro e gestisca meglio di quanto abbiano fatto gli uomini le disuguaglianze. Che ci sarà una quantità nettamente inferiore di un certo tipo di lavoro a me sembra una ovvietà, Bill. Non è certo che lavoreremo tutti meno. È probabile che alcune professioni saranno maggiormente colpite, mentre altre continueranno a procedere allo stesso modo.  

Servirebbe una classe politica lungimirante, che sia in grado di dare risposte serie a domande fondamentali. Che faccia sì che dove la manodopera costa pochissimo o niente scompaia lo sfruttamento diretto sull’uomo. I politici di oggi sembrano più occupati a mantenere il proprio potere, a creare barriere commerciali, non proprio a risolvere questioni critiche per il nostro domani. 

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Mariangela Pira è giornalista professionista, conduce la rubrica quotidiana Business su Sky Tg24. Ha collaborato con Mf Milano Fi­nanza, Panorama, L’Espresso, il venerdì di Repubblica.

 

 

*Il presente articolo è tratto dall’ultima edizione di LINC uscita a giugno 2025. L'illustrazione di copertina è stata realizzata da Gio Pastori. 

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