Lo scenario economico per l’ultimo trimestre del 2023

Incertezza, volatilità, previsioni al ribasso, ma a salvarsi, quest’anno, sono almeno i livelli occupazionali. L’indagine ManpowerGroup Employment Outlook Survey sulle prospettive occupazionali del quarto trimestre del 2023 prevede una crescita a due cifre: +19 per cento. Un trend in parte atteso visto che l’Italia non ha mai avuto così tante persone al lavoro. Le rilevazioni mensili dell’Istat dicono che a giugno il numero di occupati tra i residenti di età compresa tra i 15 e i 64 anni è salito ancora: grazie agli 83 mila occupati in più rispetto a maggio, il totale ha raggiunto i 23,59 milioni di persone. Numeri positivi che restano però apparentemente “scollegati” rispetto all’andamento dell’economia.

Dopo le rosee prospettive di aprile, in estate le stime positive sull’andamento dell’economia italiana hanno incassato un duro colpo. “Una rondine non fa primavera” nemmeno in economia e così, dopo un aumento del Pil tra gennaio e marzo (+0,6%), è seguito un calo nel secondo trimestre (-0,4%). Una discesa confermata nelle previsioni estive: in Italia è atteso nel 2023 un Pil in crescita dello 0,9% (ma rivisto al ribasso dal precedente +1,2%) e dello 0,8% nel 2024 (da +1,1%). Lo ha annunciato l’esecutivo comunitario parlando di «slancio ridotto» della crescita nella prima metà dell’anno, generato per lo più da un “calo della domanda interna” e “dalle difficoltà dell’industria”. «La stretta monetaria – ha commentato il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni – ha influito sulla crescita di tutti i Paesi avendo però un ruolo particolare in un Paese come l’Italia in cui dal finanziamento delle banche dipende molto degli investimenti in economia, relativamente più che in altri Paesi europei».

Un contesto di rallentamento su cui stanno pesando rischi e fonti di incertezza: la guerra in Ucraina, il recente conflitto israelo-palestinese e la stretta monetaria. Siamo quindi in recessione? Dopo un 2021-2022 con un deciso rimbalzo del Pil post-lockdown e il ritorno alla normalità economica, le tre locomotive globali – Stati Uniti, Unione Europea e Cina – hanno registrato molte difficoltà e lo spettro della recessione per il 2023 aleggia su gran parte del mondo. Quando si entra in recessione significa che c’è un calo dell’intero ciclo economico, in cui l’attività produttiva, l’occupazione, il reddito si riducono e il Pil tende a contrarsi in maniera significativa. Il fenomeno è, sostanzialmente, contrapposto all’espansione e alla crescita economica e si palesa esclusivamente con due trimestri consecutivi di Pil in contrazione. In Italia, l’ultima recessione tecnica risale al 2018, quando il Pil mise a segno un calo dello 0,2% nel terzo e quarto trimestre 2018. E per ora possiamo dire di essere più in una fase definita dagli esperti di “pre-recessione”

In questo contesto, l’indagine ManpowerGroup sulle prospettive occupazionali del 4° trimestre del 2023 rivela però un trend rassicurante con i datori di lavoro italiani che prevedono assunzioni in crescita (+19%, al netto degli aggiustamenti stagionali). Si tratta dell’undicesimo trimestre di fila con previsioni positive. In particolare, il settore energetico – complice anche l’importante e massiccia transizione in atto – si conferma quello con le migliori aspettative (+31%) e quasi altrettanto buone sono quelle dell’IT (+29%). Anche i trasporti fanno segnalare prospettive molto positive (+25%) e in generale tutti i settori mostrano previsioni di crescita a due cifre: +17% l’industria; +12; telecomunicazioni (+15%); finanza e immobiliare (+15%); sanità e life sciences (+14%). A livello geografico, decisamente positive sono le stime delle due macro aree settentrionali: il Nord-Ovest è capofila con un +24%, poco dietro si trova il Nord-Est (+21%). Buone, comunque, anche gli indici delle aziende situate nelle regioni centrali e meridionali: +14% nel Centro Italia e +13% per Sud e Isole. A trainare le assunzioni sono le grandi aziende: le organizzazioni con più di 250 persone prevedono infatti un +29% nelle prospettive di assunzione. Nondimeno restano molto buone anche le previsioni registrate dalle medie aziende con personale compreso tra i 50 e i 249 individui (+18%), dalle piccole imprese tra i 10 e 49 assunti (+14%) e dalle cosiddette “micro” imprese, sotto i 10 lavoratori (+13%).

A livello qualitativo, l’indagine ha rilevato un cambiamento nel modo in cui le aziende cercano personale. Alla domanda «quali tipi di candidati siete stati più disposti ad assumere negli ultimi 12 mesi per superare il fenomeno del talent shortage», il 21% dei datori di lavoro ha dichiarato che è stato più disposto ad assumere, rispetto al passato, anche candidati che non avessero tutte le competenze richieste dal ruolo, confidando di poterli formare una volta inseriti. Per lo stesso principio, il 26% afferma di aver dato più fiducia di prima a candidati con carriere non lineari o che hanno cambiato molti settori lavorativi. Le crescenti possibilità di formazione aziendale hanno portato a rivalutare anche il ruolo dei senior già presenti negli organici. Per il 22% dei datori di lavoro il focus per i  professionisti tra i 59 e i 77 anni (i cosiddetti baby boomer) è di dar loro ulteriori  formazione e aggiornamento, a cui si aggiunge il 21% che si concentra su come convincerli a rimanere ancora in azienda.

L’upskilling e il reskilling restano gli obiettivi più importanti per il 33% dei datori di lavoro per i professionisti nella fascia d’età 43-58 anni, la cosiddetta Generazione X; altrettanto primaria (il 30%) è la retention, vale a dire come trattenere all’interno dell’organizzazione il personale compreso in questo preciso intervallo demografico. Anche per i millennial (27-42 anni) il focus principale è la retention (31% delle imprese), seguita dalla formazione (24%). Quando si analizzano gli zoomer (18-26 anni) le cose cambiano: per il 39% delle aziende la priorità è il reclutamento di nuove risorse in questa fascia d’età.

Resta da capire se il nuovo conflitto medio orientale genererà sfiducia o cambi di rotta improvvisi nei prossimi mesi, ovvero il primo trimestre del 2024. Potrebbero risultare però efficaci le misure allo studio dell’esecutivo nazionale: la riduzione del cuneo fiscale, che può conferire ulteriore impulso al mercato del lavoro, e il sostegno ai redditi dei lavoratori, che potrebbe contribuire a limitare pressioni sui salari e i conseguenti effetti sui prezzi, mitigando le aspettative inflazionistiche sia degli operatori economici sia dei mercati finanziari.

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