Parole magiche: cosa dire per ottenere ciò che vogliamo

Il seguente è un estratto dal volume Parole magiche: cosa dire per ottenere ciò che vogliamo di Jonah Berger, pubblicato da Egea a giugno 2023.

Parole magiche

«La cultura delle organizzazioni è diventata un tema scottante. Come costruire una cultura solida, mantenerla e assumere candidati adatti allo scopo? E che cos’è di preciso la cultura organizzativa? Al di là del costrutto più o meno vago di convinzioni e valori, è possibile misurarla? E la conformità alla cultura organizzativa ha implicazioni sulle prestazioni lavorative delle persone?

(…)Tribù diverse utilizzano gerghi diversi. I fondatori di startup parlano di “pivot” e i dettaglianti di “omnicanalità”. I trader di Wall Street hanno in spregio i “pikers” (trader che effettuano solo operazioni di piccolo taglio per paura di perdere soldi) e talvolta si sentono “junked up” (su di giri, ossia fortemente ottimisti rispetto a un titolo o a una posizione di portafoglio).

Ma oltre alle espressioni gergali e alla terminologia, l’uso che le organizzazioni e interi settori fanno del linguaggio si differenzia anche sotto altri aspetti. C’è chi tende a usare frasi più brevi e concise, e chi ne usa di più lunghe, chi adopera un linguaggio più concreto e chi parla in maniera più astratta.

Per studiare il legame tra linguaggio e successo sul lavoro, un team di scienziati ha esaminato una fonte di dati a cui di solito non si presta molta attenzione: la posta elettronica. (…) I dipendenti non scrivono recensioni online. Ma scrivono email. Molte email. Email per chiedere informazioni ai colleghi ed email per dare feedback sul lavoro altrui. Email per condividere bozze di presentazioni ed email per programmare un incontro con un cliente. Migliaia di scritti su qualsiasi argomento immaginabile. Giusto per divertimento, fate una pausa di un minuto, aprite la cartella della posta inviata e date un’occhiata a che cosa c’è dentro: possono sembrare le solite cose personali e di lavoro. Persino banali. E spesso è così. Ma non si tratta di cose private e professionali qualsiasi. Sono il vostro lavoro e le vostre cose private. Quegli appunti sulla scelta dei paragrafi di un documento o sull’immagine da inserire a pagina 23 di un PowerPoint possono sembrare insignificanti, ma forniscono un’istantanea di ciò che sta succedendo nella vostra vita lavorativa: non una semplice progressione di progetti e decisioni, ma la vostra evoluzione in quanto colleghi, leader e, perché no, amici. Sono cocci di ceramica, vestigia di quell’antica civiltà che siete voi in ufficio. Di conseguenza, forniscono molte informazioni su di voi e su come siete o non siete cambiati nel tempo.

Gli scienziati hanno esaminato cinque anni di dati, più di 10 milioni di email che centinaia di dipendenti di un’azienda di medie dimensioni si sono scambiati: tutti i messaggi che Susan della contabilità ha inviato a Tim delle risorse umane e tutti i messaggi che Lucinda delle vendite ha inviato a James della divisione ricerca e sviluppo. E invece di concentrarsi sul numero di email inviate o sui destinatari, hanno esaminato le parole utilizzate dai singoli dipendenti. Ed è qui che lo studio diventa ancora più interessante. Infatti, anziché concentrarsi sul contenuto del messaggio (per esempio i titoli dei documenti o le slide di PowerPoint), i ricercatori hanno acceso i riflettori su qualcosa di completamente diverso: lo stile linguistico dei dipendenti.

Quando leggiamo un’email, parliamo al telefono o valutiamo qualsiasi tipo di comunicazione, tendiamo a concentrarci sul contenuto. (…) Lo stesso si può dire delle email: se qualcuno vi chiedesse di esaminare le vostre email e di descrivere il linguaggio utilizzato, probabilmente vi concentrereste sugli argomenti chiave. C’erano moltissime email su una riunione, altre riguardavano un progetto particolare e altre ancora la festa in grande stile che state organizzando per un collega che va in pensione. In tutti questi esempi si tratta del contenuto dei messaggi: l’argomento, il tema o la sostanza del discorso.

Ma benché il contenuto sia evidentemente importante, c’è un’altra dimensione che passa spesso inosservata: lo stile linguistico. Pensate a questa frase: “Hanno detto di far sapere tra un paio di settimane”. Il contenuto (far sapere qualcosa tra un paio di settimane) consente di farsi un’idea di ciò che sta succedendo, ma al suo interno sono racchiuse parole come “di”, “tra”, o sottintesi pronomi come “loro”. Questi pronomi, gli articoli e le altre parole che esprimono uno stile spesso passano in secondo piano. Spesso non ci accorgiamo nemmeno della loro presenza. È probabile che anche dopo avervele citate siate dovuti andare a cercarle nella frase per notarli. Sono quasi invisibili. Le persone non ci fanno caso, intente come sono a soffermarsi subito sui sostantivi, i verbi e gli aggettivi che compongono il contenuto linguistico, ovvero ciò che viene detto.

Ma anche se spesso vengono ignorati, gli elementi stilistici forniscono in realtà moltissime informazioni. Per veicolare il contenuto desiderato, i comunicatori hanno a disposizione una flessibilità limitata. Se qualcuno chiede tra quanto tempo il cliente vuole essere ragguagliato e la risposta è “Tra un paio di settimane”, in un modo o nell’altro queste parole dovranno comparire nella frase per veicolare il concetto. Ma il modo in cui comunichiamo questo concetto dipende da noi. Potremmo dire: “Ci hanno detto di far sapere tra un paio di settimane”, “Sarebbe bene far sapere tra un paio di settimane a partire da oggi” o altre possibili variazioni. Per quanto possano sembrare di poco conto, queste differenze rispecchiano il modo in cui le persone comunicano, e quindi forniscono informazioni sui comunicatori stessi. Ci dicono tutto, dalla personalità e dai gusti fino a quanto sono intelligenti o se stanno mentendo.

I ricercatori hanno analizzato lo stile linguistico dei dipendenti. In particolare, si sono soffermati sulla somiglianza tra lo stile linguistico delle persone e quello dei colleghi. In altre parole, hanno misurato l’adattamento culturale: se i dipendenti adoperavano il linguaggio alla stessa stregua di chi stava loro intorno. Hanno verificato se i singoli dipendenti usavano pronomi personali (come “noi” o “io”) per comunicare con colleghi che ne usavano molti o se utilizzavano articoli (per esempio “un/una”, “il/la”) e preposizioni (“in” o “a”) in misura simile ai colleghi. I risultati sono stati sorprendenti. La somiglianza ha deciso il successo. I dipendenti il cui stile linguistico era più simile a quello dei colleghi avevano il triplo delle probabilità di essere promossi. Ottenevano valutazioni delle prestazioni migliori e bonus più elevati.

Per certi versi, è una notizia bellissima. Se ci siamo inseriti bene nel nuovo posto di lavoro, è probabile che faremo anche un buon lavoro. Ma che dire di tutti gli altri? Che cosa succede alle persone che non si adattano? Le persone con uno stile linguistico dissimile non sono state altrettanto fortunate. Per loro la probabilità di essere licenziate era quattro volte maggiore. Quindi le persone che non si adattano subito sono destinate al fallimento? Non proprio.

Anziché limitarsi a desumere l’integrazione iniziale dei dipendenti, i ricercatori hanno esaminato anche il modo in cui il loro adattamento è cambiato nel tempo. L’obiettivo era capire se alcuni dipendenti fossero più adattabili di altri. (…) La maggior parte delle nuove reclute si è adattata in tempi brevi. Dopo un anno di permanenza nell’azienda si erano acclimatate alle norme linguistiche dell’organizzazione. Non tutti, però, si sono adattati nella stessa misura. Alcuni si sono adattati più rapidamente, altri più lentamente. L’adattabilità, a sua volta, ha contribuito al successo. I dipendenti di successo si sono adattati, mentre quelli che alla fine sarebbero stati licenziati non lo hanno mai fatto. Il loro grado di adattamento culturale, già basso in principio, ha continuato lentamente a calare. La somiglianza linguistica ha persino aiutato a distinguere i dipendenti rimasti in azienda da quelli che l’hanno lasciata per perseguire opportunità migliori. Non perché siano stati licenziati, ma perché hanno ricevuto offerte di lavoro migliori altrove. Queste persone si sono assimilate presto, ma a un certo punto il loro linguaggio ha cominciato a divergere. Pur essendo chiaramente in grado di adattarsi, alla fine hanno smesso di provarci, lasciando presagire l’intenzione di lasciare l’azienda.

L’adattabilità si è rivelata più importante dell’adattamento iniziale. Le persone che inizialmente si sono adattate bene hanno avuto successo, ma quelle che si sono adattate rapidamente all’evoluzione delle norme hanno avuto ancora più successo. L’adattamento non è necessariamente un tratto congenito, basta essere disposti ad adattarsi nel tempo.

Lo studio sulle email mette in evidenza i vantaggi dell’adattamento. L’uso di un linguaggio affine può portare a valutazioni delle prestazioni migliori, a bonus più elevati e a maggiori probabilità di avere una promozione. E i benefici dell’affinità vanno ben oltre la vita d’ufficio. (…) L’uso di un linguaggio affine può facilitare la conversazione, far sentire le persone connesse e aumentare la percezione di appartenere alla stessa tribù. Tutto ciò può far aumentare il gradimento e la fiducia e agevolare tutta una serie di risultati positivi a valle.»

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