Come entrare a far parte del “gioco”. Intervista all’HR di Clementoni

Il gruppo Clementoni spa, nato nel 1963 e specializzato in giochi educativi (Sapientino su tutti), nell’anno fiscale 2022 supererà per la prima volta i 200 milioni di euro di fatturato, con una forza lavoro di circa 600 persone (picchi oltre le 700 unità nei momenti clou della stagione, tra maggio e ottobre) e un capitale ancora nelle mani della famiglia Clementoni che comporta alcune differenze rispetto ad altri gruppi.

«Clementoni è indubbiamente una azienda dove la leadership è familiare», spiega il direttore delle risorse umane Emilio Zampetti, «e questo consente di avere una catena di comando molto corta, con decisioni che si prendono in modo veloce: in periodi complicati come questi, tra Covid e guerre, ci si ritrova in poche persone e in un’ora decidiamo le strategie di un trimestre. Inoltre in Clementoni c’è una dimensione umana più profonda, più vera. Con un’attenzione reale verso le persone e le loro problematiche, non solo per fare employer branding, attraction o scrivere dei post su Linkedin». 

Dottor Zampetti, ma Clementoni che professionalità sta cercando al momento? 

«Siamo mediamente in 600, di cui una settantina all’estero. L’85% della produzione è a Recanati. Abbiamo il 63% di operai e il 37% di colletti bianchi, con un’età media attorno ai 40 anni. Stiamo imbarcando risorse sul marketing, nel commerciale, nella ricerca e sviluppo. In un ambito come il nostro, dei giochi, non c’è una laurea preferenziale: ci vogliono sia competenze tecniche, idee, creatività, passione per il gioco. Quindi può andare bene una laurea in filosofia o una in ingegneria elettronica. Cerchiamo product manager, program manager, category manager, tanti profili che si occupino del prodotto». 

Voi investite in ricerca e sviluppo circa il 4% del fatturato, ovvero attorno agli otto milioni di euro all’anno, per creare nuovi giochi. Puntate anche al digitale, alle app per bambini, alle nuove tecnologie dove siete già presenti da tempo con il tablet Clempad o con i vostri robottini? 

«Il team che fa marketing e sviluppo prodotto è composto da circa 80-90 persone, tutte piuttosto giovani. Stiamo lavorando alla digitalizzazione del business, è vero. E qualche settimana fa abbiamo fatto un hackathon con H-Farm dedicato proprio a questo: cerchiamo sviluppatori software, creativi e appassionati del gioco». 

Clementoni, peraltro, già alcuni anni fa ha giocato d’anticipo riportando quasi tutta la produzione in Italia. Mentre il mondo trasferiva le fabbriche offshore in Cina, voi avete fatto il contrario. E ora, col reshoring, siete un passo avanti agli altri. Qual è stata l’intuizione? 

«Corretto, la Cina non ci convinceva più molto e ora l’85% della produzione è a Recanati, sia nella nostra fabbrica, sia dai nostri fornitori. Si è dimostrata una strategia vincente e a suo tempo anticipatoria. Lo abbiamo fatto sia per la voglia di essere veramente italiani, dando un valore significativo all’italianità dei nostri prodotti. Sia perché volevamo gestire l’intero processo dall’Italia, dalla creatività fino alla spedizione del giocattolo. Il controllo completo sulla catena consente una flessibilità superiore che, invece, con le fabbriche in Cina, non puoi assolutamente avere».  

Che politiche mettete in atto per trattenere i vostri talenti? 

«Bella domanda. Ma io spesso ripeto questa frase: “Datemeli normali, che poi ci penso io a formarli“. Vogliamo persone che abbiano passione e voglia di lavorare. Poiché in Italia non esiste una scuola del giocattolo, i giovani spesso arrivano da noi come neolaureati, si formano in azienda, realizzando, con l’esperienza sul campo, professionalità specialistiche uniche. La nostra azienda va verso la comprensione reale dell’individuo, e questo già vale tanto. Comunque, in HR stiamo lavorando con strumenti come la creazione di employer branding, con piani di crescita, tecniche di valutazione, ecc». 

Clementoni ha poi un rapporto privilegiato con le scuole, proprio per il dna educativo dei suoi giochi… 

«Certo, c’è un ufficio, gestito da uno dei fratelli Clementoni, che si occupa proprio di questo». 

Dopo due anni di pandemia, come è cambiata l’organizzazione del lavoro per le funzioni che possono operare da remoto? 

«Diciamo che Clementoni è un’azienda piuttosto muscolare, e quasi il 100% dei colletti bianchi è rientrato in ufficio in presenza. Io, personalmente, preferisco lavorare in ufficio, per una questione di concentrazione. Sono tuttavia del parere che, da un punto di vista organizzativo, oggi vada presa in considerazione la modalità dello smart working». 

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