Le sei regole del CEO eccellente

Sulla categoria del capo azienda, del Chief executive officer, si sono spesi fiumi di parole circa le capacità di leadership, di visione, o sui compensi e le liquidazioni strabilianti. Poco si è detto e scritto, però, in merito alla funzione sociale, all’impatto diretto che i Ceo eccellenti hanno sulle economie, sul pil delle nazioni, e quindi, in ultima analisi, sulla ricchezza di tutti noi.  

Tanto per dare qualche numero: McKinsey & Company, partendo dalla classifica Global 2000 di Forbes, ha selezionato con criteri molto raffinati i migliori 200 Ceo degli ultimi 20 anni. Ebbene, questo sparuto gruppetto di top manager, durante il mandato da Ceo, ha creato cinque trilioni di dollari (5mila miliardi di dollari) di valore aggiunto rispetto a tutti gli altri Ceo che operavano contemporaneamente negli stessi settori industriali. Duecento persone che, in poco tempo, hanno regalato al mondo il pil annuo del Giappone: eccolo qui l’impatto sociale che può avere un Ceo eccellente.  

Ma come diventare un Ceo eccellente, e non restare invece un Ceo qualsiasi?  

Provano a spiegarlo Carolyn Dewar, Scott Keller e Vikram Malhotra, tutti senior partner di McKinsey & Company, nel nuovo libro Ceo Excellence: the six mindsets that distinguish the best leaders from the rest, che ha un obiettivo piuttosto ambizioso: «Abbiamo verificato che due Ceo su cinque vengono rimossi dal loro incarico entro tre anni. Ebbene» dicono gli autori «se solo riuscissimo a far scendere il rapporto a 1,5 su cinque, questo già di per sé sarebbe un grande miglioramento per la società e le economie». 

Ci sono molti testi dedicati alla leadership, oppure scritti da Ceo che raccontano il loro percorso, la loro singola esperienza.  

Mckinsey & Company ha però preferito scavare nella mente di 67 Ceo eccellenti, selezionati tra i famosi 200 di cui sopra, per provare a creare un testo definitivo, «utile soprattutto alle nuove generazioni di Ceo», commenta Carolyn Dewar. 

Dalle 67 chiacchierate, tutte lunghe dalle due alle tre ore, sono emerse chiaramente almeno sei caratteristiche del Ceo eccellente. 

Essere audace

Il mindset dei Ceo che fanno la differenza ha a che fare con il coraggio, l’audacia, il detto la fortuna aiuta gli audaci. 

Scott Keller racconta che «il 55% delle performance di un’azienda dipende dai trend macro del settore in cui quella azienda opera. Spesso, quindi, si dice che buona parte della crescita non è in relazione con quello che un Ceo fa o non fa. I Ceo eccellenti, tuttavia, non pensano che quel 55% sia completamente fuori dal loro controllo. Con audacia portano l’azienda verso i business che crescono di più, cavalcano le onde e non si fanno travolgere dagli eventi, cercano le spiagge migliori dove andare a fare surf».  

Armonizzare la tua organizzazione

In ogni organizzazione c’è una cosiddetta materia soft, impalpabile, che ha a che fare con la cultura, il talento, l’organization design. Tutti sanno che questi fattori contano e che però non si possono misurare.   

Alcuni Ceo, allora, ragionano così: «Ok, so che sono cose importanti, ma non si possono misurare, e quindi non le posso gestire. Perciò, lasciatemi gestire il business».  

Nessuno dei 67 Ceo eccellenti intervistati da McKinsey & Company, invece, la pensa in questo modo. Loro trattano la cosiddetta materia soft come se fosse hard, maneggiano cose come la cultura aziendale, il talento, l’organization design con rigore e disciplina. E trattandoli così, comprendono che la cultura non è una cosa vaga e nebulosa, che la materia soft è in realtà hard: questo offre un enorme vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza. 

Impara a essere leader attraverso i tuoi leader

Qui si riflette su come il Ceo eccellente deve relazionarsi col suo top team. Alcuni Ceo parlano ai membri del top team come individui, dando a ciascuno la motivazione e il coaching che ritengono più opportuni. 

I Ceo eccellenti, invece, gestiscono la psicologia del team, del gruppo come gruppo. Spiega Lilach Asher Topilsky, Ceo di Israeli discount bank: «Noi non siamo diventati un vero team finché non siamo diventati un pugno chiuso. Ci siamo chiamati The Fist, il pugno: nulla può entrare nel pugno attraverso le fessure tra le dita, nulla, né il consiglio di amministrazione, né i clienti, né gli azionisti, né i sindacati. Quando si è cristallizzato questo concetto, le cose hanno iniziato a funzionare».  

Coinvolgi il consiglio di amministrazione

I 67 Ceo eccellenti consultati da McKinsey & Company usano molto bene il board: sono coscienti che i membri del consiglio di amministrazione sono i massimi consulenti esperti che si possano avere, e non costano niente (fattore non banale viste le parcelle medie delle consulenze esterne). Il Ceo eccellente non fornisce al board “solo quello che penso vi serva”, ma crea una vera relazione, in totale trasparenza, sia con i consiglieri, sia col presidente del Cda. Piccolo segreto: i consiglieri di amministrazione non vogliono essere chiamati solo per essere informati di quello che accade. Vogliono invece essere consultati per dare una mano, per essere di aiuto. 

Relazione con gli stakeholder

Ovviamente un Ceo è sempre bombardato di input da parte di azionisti, sindacati, regolatori, investitori, clienti, pubblico inteso in senso più vasto. Come gestire questo tempo? 

La prima cosa che insegnano i Ceo eccellenti è che il Ceo stesso, il suo top team e l’intera organizzazione devono avere ben chiaro il perché quella società esiste, quale è il suo purpose. Che può sembrare una parola di moda, ormai ripetuta in milioni di contesti. Ma, come spiegano gli uomini di McKinsey & Company molto concretamente, «le aziende purpose-driven hanno performance migliori delle altre». Una volta chiaro il purpose, allora si può passare al rapporto verso gli stakeholder, senza il rischio di farsi distrarre. 

In generale, dalle interviste ai 67 Ceo eccellenti, emerge che circa la metà del tempo del rapporto con gli stakeholder vada dedicata a quelli esterni all’azienda (regolatori, analisti, la comunità degli investitori, i clienti, il pubblico in generale), e che, all’interno di questo 50%, la buona parte debba privilegiare i clienti.  

Essere efficienti al massimo delle proprie potenzialità

A questo proposito i Ceo eccellenti sono in grado di selezionare solo le attività in cui possono creare valore, e di delegare tutto il resto.  

Non si tratta, insomma, di essere piuttosto bravo in tutti gli sport, quanto invece di essere molto bravo in uno sport nuovo, in cui si vince facendo le domande giuste ed essendo sempre in sincronia col proprio top team. Analizzando le carriere dei 67 intervistati da McKinsey & Company, si nota una performance tendenziale in continua crescita, e con la forma di tante curve a S: c’è uno sprint, e poi una fase di riflessione verso il prossimo step di crescita. Restando alla metafora dello sport, parliamo di una serie di ripetute, non di una maratona.  

Per essere efficienti al massimo, uno dei segreti è la gestione rigorosa della propria agenda: ci devono essere solo appuntamenti abbastanza importanti per entrare in agenda. E a quegli appuntamenti va dedicata l’attenzione massima.  

Una dote fondamentale del Ceo eccellente, secondo Vikram Malhotra, «è la capacità di separare i vari impegni in singoli compartimenti a sé stanti». 

Efficiente non significa essere un maschio alfa, un condottiero con la spada in mano. Anzi. Tra i Ceo eccellenti prevale l’atteggiamento di Servant leadership, che si può ben riassumere nella differenza tra statista e politico. Lo statista tiene al bene della società, del genere umano, mentre il politico bada principalmente a essere rieletto. 

Ecco, tra i 67 Ceo eccellenti selezionati da McKinsey & Company, in 67 avevano l’atteggiamento dello statista. Grandi ascoltatori, insaziabili nell’apprendere, e autentici, senza mai provare a essere quello che non sono.  

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