La leadership secondo Andrea Guerra: mani, testa, cuore

Per far crescere un’azienda la ricetta di un buon leader è rivoluzionare la testa delle persone: ne è convinto Andrea Guerra, Executive chairman di Eataly. Partendo dalla sua esperienza ventennale di dirigente, il manager delinea una figura di capo-guida che lavora in primis per essere un buon esempio per i propri dipendenti. E nella sua lunga carriera Guerra ne ha conosciuti centinaia. Dopo la laurea in Economia alla Sapienza di Roma è stato Ceo in Merloni Elettrodomestici e poi Ad di Luxottica dal 2004.

Una scalata che gli ha permesso di arrivare al vertice di un colosso del food come Eataly dove lo ha stupito l’ambiente giovane e dinamico. «Uno dei primi obiettivi quando si entra da leader in una nuova azienda – spiega – è convincere i dipendenti che sono parte di un progetto, di una rete all’interno della quale possono proporre e discutere nuove idee in tranquillità». Nelle scorse settimane Guerra ha partecipato all’incontro “Danza di Movimento: il talento crea nuove alchimie per la crescita sostenibile”, il primo Talent Talk organizzato dalla Fondazione Human Age Institute di ManpowerGroup. Nel corso del Talent Guerra non ha tracciato solo il modello di azienda destinata al successo, ma anche il suo modello di leadership.

Una rivoluzione che richiede tempo
Una rivoluzione della cultura aziendale attraverso un approccio pragmatico, più vicino alla psicologia che all’economia. Con un solo difetto: come tutte le trasformazioni richiede anni prima che si vedano risultati. Guerra ammette, infatti, di aver dovuto sviluppare sul campo due caratteristiche fondamentali per un leader: la pazienza e la capacità di leggere le persone.

«Rischi di perdere i capelli e di roderti il fegato specialmente i primi anni, ma poi ne vale la pena – racconta -. Quando riesci a trasmettere quelle quattro o cinque regole base da rispettare per migliorare il lavoro di tutti il più è fatto.

Oggi è più importante
stare dietro alle persone
che al business

L’onda del cambiamento deve però coinvolgere la totalità dei dipendenti. Guerra parla di imprenditorialità collettiva e di responsabilizzazione a tutti i livelli aziendali, dalle figure junior a quelle senior senza differenze di gradi. «È per questo che in Luxottica – spiega – condividevo il piano aziendale con 45mila persone. Era il mio modo per tracciare un solco che indicasse in modo chiaro il percorso da seguire».

La leadership risonante e positiva
È la teoria della leadership risonante ovvero l’idea che i superiori sappiano irradiare positività risvegliando le attitudini migliori della propria squadra. Si tratta di mettere in pratica la massima gandhiana: «Sii il cambiamento che vorresti vedere nel mondo». In questo senso Guerra ha descritto un suo personale modello di leadership che ha chiamato “Mani, testa, cuore”.

«Le mani rappresentano il fare, la parte pratica e operativa del lavoro – dice -. La testa o, meglio, le orecchie servono invece per ascoltare e comprendere. Soprattutto quello che i dipendenti non ti raccontano o hanno paura di dire ad alta voce. Infine c’è il cuore, ovvero il riuscire a dimostrare che credi in quello che fai e che per dirla all’americana ‘sei quello che stai facendo’». Solo in questo modo è possibile guadagnarsi secondo il manager la stima e il rispetto dei sottoposti. In breve per Guerra nella rivoluzione delle responsabilità i riflettori vanno puntati sulle persone e sulla condivisione degli obiettivi. Senza timore di rischiare.

Mai avere paura dei propri errori
«Non bisogna aver paura di sbagliare o penalizzare in azienda chi inciampa. Devi avere la capacità costante e continua di autorottamarti – dice Guerra -. Io sono un po’ masochista in questo e tendo a cercare sempre quello che non va. In realtà fare errori è normale, l’importante è avere il coraggio di guardarsi in faccia e ammetterli».

L’azienda ideale diventa così quell’impresa in cui un dipendente non ha paura di alzare la mano per dire “Scusate, è colpa mia”. «Ho visto grandi marchi – racconta Guerra – subire ingenti perdite perché non sono riusciti a fermarsi prima di far danno. Penso al rischio nel lanciarsi in un mercato estero ad esempio senza conoscerlo adeguatamente». In quel caso l’unica strategia è ammettere il passo falso e ripartire da zero mantenendo la guardia alta. «Se c’è una cosa che ho capito in questi anni – chiude Guerra – è che nel business tutti i nodi prima o poi vengono al pettine».

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