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Sostenibilità ed economia circolare: la formula dei più giovani

Scritto da Alberto Giuffrè | 11/11/25 10.12

C’era una volta l’Agenda 2030. Non una fiaba ma un piano globale sottoscritto nel 2015 da tutti i Paesi del mondo. «Un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità» con il compito di realizzare 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. C’era una volta, ma adesso? Siamo nell’era del «drill, baby, drill». Trivella, bambino, trivella. Più che l’Agenda 2030 a dettare la linea dagli Stati Uniti è il Project 2025, il programma politico vicino alle idee politiche di Donald Trump che, su certi temi, ha le idee chiare: avanti a tutta forza con i combustibili fossili perché la crisi climatica, nonostante le evidenze scientifiche, non esiste. La spinta negazionista influenza il resto del mondo ma deve fare i conti anche con una parte di mercato che, già da anni, ha scelto la strada della transizione e di un business che non può fare a meno di guardare alla sostenibilità. Una parola che negli anni è stata usata fin troppo, anche a sproposito, tanto da rischiare di farle perdere valore. Ma la cosiddetta economia green esiste e prova a viaggiare nonostante gli scossoni della politica. Assistiamo anche a un fenomeno tanto curioso quanto rivelatore dei tempi. Cioè il passaggio dal cosiddetto greenwashing, l’ambientalismo di facciata, al green hushing: agisco in maniera sostenibile, ma non lo dico.

Ma a che punto siamo con l’Agenda 2030? «A livello globale non siamo messi bene», spiega Enrico Giovannini, ex Ministro e co-fondatore e direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, una rete di oltre 300 soggetti della società civile creata per attuare in Italia l’Agenda dell’Onu. In ambito europeo, aggiunge, «siamo il continente più sostenibile al mondo, nel senso di condizioni sociali, ambientali ed economiche. Ma anche l’Europa non è su un sentiero di sviluppo sostenibile». E l’Italia? «Non fa benissimo tranne in alcuni settori, per esempio l’economia circolare».

I dati della Fondazione Symbola testimoniano questi segnali positivi. Secondo il rapporto Greenitaly sotto il profilo dell’occupazione, nel 2023, le figure professionali legate alla green economy rappresentavano il 13,4 per cento degli occupati totali, 3.163mila unità. A livello territoriale la rilevazione evidenzia la marcata crescita delle attivazioni di green jobs nel Centro (+12,6 per cento) rispetto al 2022. Il dato fa seguito al +15,9 per cento registrato da questa macro-area tra il 2021 ed il 2022, confermando, quindi, un trend di forte e significativa crescita nel territorio, impegnato a recuperare il gap rispetto alle altre aree analizzate. Infatti, nonostante i tassi di crescita a doppia cifra, il Centro resta l’area con meno attivazioni green complessive, solo 364.510 unità in totale. Il primato per numero di attivazioni resta al Nord-Ovest, con 622.270 attivazioni green nel 2023 (+4,0 per cento rispetto al 2022), seguito da Sud e Isole (475.720 attivazioni green previste nel 2023, +4,9 per cento rispetto al 2022) e dal Nord-Est (456.110 attivazioni green, +3,5 per cento rispetto al 2022). «Nel rapporto» spiega Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola «si coglie un’accelerazione verso un’economia più a misura d’uomo che punta sulla sostenibilità, sull’innovazione, sulle comunità e sui territori. Siamo una superpotenza europea dell’economia circolare e questo ci rende più competitivi e capaci di futuro». Per Realacci in questo settore vediamo «le imprese che innovano di più, esportano di più e producono più posti di lavoro». 

Imprese già attive da anni e startup o aziende giovani che scommettono su quello che vedono come l’unico futuro possibile. Abbiamo raccolto quattro storie, da Nord a Sud, che vedono al centro i giovani. 

Partiamo da Blue Eco Line, piccola-media impresa (PMI) innovativa nata nel 2018. Sviluppa soluzioni tecnologiche in grado di affrontare il problema della plastica nei fiumi in maniera efficace e sostenibile. Lo fa con reti neurali per il riconoscimento di oggetti attraverso immagini e video. Questa tecnologia viene applicata ai fiumi, con la possibilità di individuare in maniera più efficace i rifiuti, intercettarli e ripescarli fino a farli finire in discarica. L’impianto pilota per mettere tutto in pratica si trova a Grosseto in prossimità del porto della Maremma. «Vogliamo replicare la stessa soluzione anche in altre zone della Toscana, dell’Italia e anche all’estero dove abbiamo già contatti con diverse amministrazioni», spiega Lorenzo Lubrano, amministratore delegato: «Vogliamo essere un punto di riferimento tecnologico e scientifico, sia nel settore ambientale, sia in ambiti dove AI e computer vision possano fare la differenza, come agricoltura di precisione, edilizia e comparto industriale».

Una sfida ambiziosa è anche quella della startup Dreamfarm che, nel giro di pochi anni, è diventata una delle realtà più interessanti nel settore dei formaggi plant based. Dreamfarm è partita da Parma ed è riuscita ad attirare l’attenzione anche di una testata come TechCrunch che raramente si occupa di startup italiane. Lo ha fatto partendo da uno dei prodotti più difficili da replicare: la mozzarella. «Partendo dalla frutta secca, che andiamo a fermentare, creiamo delle alternative vegetali», racconta il CEO Giovanni Menozzi: «Ci differenziamo da altri concorrenti perché scegliamo una lista di ingredienti molto pulita». Ma come nasce l’idea? «Guardando quello che stava accadendo nel mondo delle alternative alla carne, abbiamo visto che nel settore dei formaggi c’era un vuoto di prodotti di qualità accessibili al consumatore medio. Certo, c’è anche la voglia di puntare al benessere della persona, alla sostenibilità e all’impatto che un prodotto va a creare sull’ambiente». 

Dalle alternative al cibo tradizionale agli scarti che diventano una risorsa preziosa. Da Parma ci spostiamo a Bronte, in provincia di Catania, per conoscere Kymia. Dallo scarto del pistacchio la startup ha brevettato un nuovo principio attivo, il Pistactive, utilizzato nella cosmesi per il suo potere antiossidante. L’idea è venuta ad Arianna Campione, dottoressa e cosmetologa e ad Anna Cacopardo, giovane imprenditrice. Stavano assistendo alla raccolta dei pistacchi e sono rimaste sorprese dalle enormi quantità di mallo che venivano buttate. Si tratta di un rifiuto organico non differenziabile, quindi le aziende agricole pagano per smaltirlo. «Mi è venuta l’idea di raccogliere questi scarti e di provare a studiarli», dice Arianna Campione. Da qui è nata la startup: «Oggi vendiamo l’estratto alle aziende cosmetiche. Abbiamo un brevetto e in progetto di farne altri. Stiamo raccogliendo 700mila euro per espandere la ricerca». Campione si è specializzata a Londra ma poi è tornata. «Kymia» confessa «è anche una storia d’amore con la mia terra, dove ci piacerebbe creare un indotto coinvolgendo anche le aziende locali».

Un’altra realtà guidata da giovani ci riporta nel Nord Italia dove opera Krill Design. Una PMI che parte da sottoprodotti organici – bucce d'arancia, scorze di limone e caffè – per trasformarli in biopolimeri biodegradabili e compostabili che sostituiscono le plastiche tradizionali. Insomma, una nuova materia prima innovativa e completamente naturale. «Siamo partiti realizzando progetti di economia circolare con aziende di food & beverage», racconta Martina Lamperti, una delle fondatrici: «Con gli scarti delle spremute d’arancia abbiamo realizzato vasi portabustine da zucchero o portatovaglioli. Da metà dello scorso anno vendiamo direttamente sul mercato. Ci siamo accorti che c’è interesse in materiali nuovi e sostenibili. C’è voglia di sostituire i materiali che derivano dalla plastica». 

Alle origini di Krill c’è l’incontro di tre giovani che quando si sono incontrati, dieci anni fa, erano poco più che ventenni. La loro lampadina si è accesa tra i viali e i padiglioni dell’Expo di Milano il cui motto era proprio “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Correva l’anno 2015, lo stesso in cui veniva approvata l’Agenda 2030. Iniziava un percorso che adesso è più che mai in salita ma che molti, soprattutto tra i giovani, non hanno intenzione di abbandonare.

 

 

Alberto Giuffrè, giornalista professionista, lavora per Sky TG24.