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Per un’economia femminista

Scritto da Redazione di LinC | 05/04/24 9.26

«Mi sono laureata in Scienze Politiche nel 1987, intraprendendo poi un percorso professionale molto diversificato, lavorando inizialmente per una banca e successivamente per una società di revisione contabile e sviluppando nel frattempo un forte interesse per l’economia. Ho quindi ottenuto un Master e successivamente un dottorato in economia, concentrandomi sin dall’inizio sulla ricerca sulla disparità di genere nel mercato del lavoro. La mia tesi di dottorato riguardava la fertilità e il tasso di partecipazione delle donne italiane all’economia nazionale: tematiche che, nonostante siano trascorsi quasi trent’anni, non hanno perso la loro rilevanza». Maria Laura Di Tommaso racconta così il percorso accademico e professionale che l’ha portata a ricoprire oggi la cattedra di Economia politica all’Università di Torino – ruolo a cui affianca un’intensa attività di ricerca proprio in ambito di disparità di genere. «Nei confronti di questi argomenti ho sempre adottato un approccio economico, utilizzando modelli statistici ed econometrici, ma è stato altrettanto importante per me adottare una prospettiva femminista nell’analisi economica. Sono stata redattrice della rivista Feminist Economics, pubblicata dall’Associazione Internazionale di Economia Femminista. Credo fortemente che molti aspetti dell’economia possano e debbano essere esaminati proprio da quest’ottica. Non è un caso che il premio Nobel per l’economia nel 2023 sia stato attribuito a Claudia Goldin, accademica e ricercatrice statunitense nota per i suoi studi in materia».

Ritirando il premio, Claudia Goldin ha sottolineato quanto difficile sia stato, nel corso della ricerca che le ha valso il Nobel, trovare dati relativi alla partecipazione e al ruolo che le donne ricoprono nel mercato del lavoro. Ha riscontrato lo stesso ostacolo durante i suoi studi?

Assolutamente sì. L’approccio di genere e femminista è emerso più tardi rispetto alla nascita della scienza economica: solo agli inizi degli anni Ottanta, negli Stati Uniti, si è iniziato a considerare le differenze di genere in maniera più approfondita, non solo dal punto di vista quantitativo. Si è iniziato a studiare il tasso di occupazione femminile e altri indicatori, mentre in passato si prestava attenzione solo alla declinazione al maschile di questi indici. La riscrittura di questi paradigmi ha rappresentato la vera rivoluzione: oggi abbiamo infatti la possibilità di misurare in dettaglio il divario di genere in vari aspetti della vita economica – dalla retribuzione alla partecipazione al lavoro domestico – perché ci sono indagini che raccolgono questo tipo di informazioni. Non per tutti i settori, però: i dati sulle violenze di genere sui luoghi di lavoro sono ancora insufficienti, nonostante si sappia come quest’ultime influenzino negativamente la partecipazione al mercato del lavoro, il salario e le opportunità di carriera.

Quali sono le cause della differenza salariale tra professionisti uomini e professioniste donne in Italia?

Se dovessi rispondere con una sola parola, direi: discriminazione di genere. Abbiamo condotto numerosi studi per comprendere le cause delle differenze salariali tra uomini e donne. Cinquant’anni fa, le donne studiavano meno degli uomini a causa delle discriminazioni preesistenti, ma queste nel frattempo sono diminuite. Oggi le donne studiano di più, si specializzano anche in discipline considerate tradizionalmente maschili, come l’informatica e l’ingegneria. Le donne laureate in questi settori hanno mediamente voti più alti degli uomini, ma, a cinque anni dalla laurea, hanno tassi di disoccupazione più elevati e salari più bassi degli uomini. Secondo le teorie del capitale umano, guardando al livello di istruzione, dovrebbero invece guadagnare di più. I fattori che giustificano tale differenziale salariale sono quindi tutti legati alla discriminazione: nei paesi occidentali le donne trovano nel mercato del lavoro un ambiente meno facile per fare carriera, con molti più ostacoli. Questi non hanno a che fare con le singole preferenze, ma sono determinati da un mercato del lavoro che funziona sul modello maschile.

Quali politiche e interventi pubblici possono essere adottati per ridurre il divario di genere e contrastare la discriminazione?

La trasparenza sulle differenze salariali di genere è cruciale e dovrebbe essere implementata con urgenza. Ogni azienda dovrebbe pubblicare sul proprio sito web i dati relativi alle retribuzioni per i diversi livelli di carriera, mostrando quindi come vengono pagati uomini e donne all’interno dell’organizzazione per mansioni equivalenti. Questa trasparenza – già adottata con successo nel Regno Unito – aiuta le aziende a riconoscere e correggere le disparità salariali di genere, spesso ignorate o sottovalutate. In secondo luogo, per promuovere una maggiore partecipazione degli uomini al lavoro di cura e domestico, è fondamentale una riforma dei permessi di paternità. È stato dimostrato che l’annullamento del divario di genere avviene non solo aumentando i salari delle donne, ma anche coinvolgendo attivamente gli uomini nel lavoro di cura e domestico. In questo modo, si supererebbe il modello tradizionale secondo cui spetta principalmente alle donne occuparsi di tali responsabilità. È poi importante affrontare il problema delle molestie sessuali e verbali sul lavoro – come dimostrano le recenti denunce all’Università di Torino, nonostante si sia adottato un codice etico. Il fatto che queste problematiche vengano finalmente denunciate è un segno positivo, segnala una maggiore consapevolezza sociale. È incoraggiante vedere come le studentesse stiano riconoscendo queste molestie, perché ciò può portare a un miglioramento delle disuguaglianze di genere in generale. In un contesto in cui le molestie sessuali e le violenze di genere vengono riconosciute e denunciate, c’è la possibilità di ridurre i divari di genere, inclusi quelli salariali. Le molestie e le discriminazioni sul lavoro influiscono negativamente sull’autostima e sulla sicurezza delle donne, compromettendo la valutazione delle loro capacità e contribuendo così alla perpetuazione delle disuguaglianze.

Dal suo osservatorio privilegiato di professoressa universitaria, ha notato una maggiore sensibilità o consapevolezza da parte delle giovani generazioni su queste questioni?

Negli ultimi dieci anni c’è stato un cambiamento notevole. Quando ho iniziato a lavorare all’Università di Torino nel 2002, non c’era alcuna consapevolezza, né da parte degli studenti né dei colleghi, riguardo alle questioni di genere. Tuttavia, negli ultimi dieci anni, c’è stata una crescente sensibilità e consapevolezza su questi temi. Si è passati dall’affrontare solo le differenze tra uomini e donne a considerare i diritti dell'intera comunità LGBTQ+. Parlare di genere ora significa non limitarsi più a una visione binaria. Nonostante ciò, le discriminazioni nei confronti delle donne rimangono ancora molto forti, quindi continuiamo a studiare le disparità di genere anche dal punto di vista statistico. Negli ultimi anni, c’è stato un aumento significativo degli studi sull’economia delle persone LGBTQ+ e sulle loro discriminazioni. Gli studenti sono quindi diventati più consapevoli delle proprie azioni e degli strumenti che l’Università di Torino offre. Penso, per esempio, alla figura del consigliere di fiducia, lo sportello di supporto psicologico e il comitato unico di garanzia. Questi aiuti rappresentano un canale sicuro per studenti e studentesse per segnalare eventuali casi di molestie sessuali e ricevere supporto adeguato.

Ha consigli o messaggi per le giovani ragazze che aspirano a una carriera simile alla sua?

Il primo consiglio che darei alle studentesse che desiderano intraprendere una carriera accademica in economia è di non limitarsi e sognare in grande. Spesso, a causa degli stereotipi e dei pregiudizi di genere, le donne tendono a dubitare di sé stesse prima ancora di entrare nel mondo del lavoro. È importante essere determinate nelle proprie ambizioni e puntare sempre il più in alto possibile, ascoltando ovviamente i consigli, ma senza perdere di vista i propri obiettivi.

Su quali progetti si sta concentrando al momento?

Sto lavorando a un’iniziativa che coinvolge tre regioni italiane: Piemonte, Campania e Friuli-Venezia Giulia. Questo progetto si concentra sull’economia dell’istruzione con un approccio di genere. Abbiamo dedicato molto impegno alla riduzione del divario di genere in matematica, perché abbiamo osservato che, in media, le ragazze partono svantaggiate rispetto ai ragazzi già dalle scuole elementari, soprattutto in questa materia. Attraverso un nuovo metodo didattico – più laboratoriale e meno competitivo – abbiamo cercato di chiudere questo divario di genere. Il progetto si è ampliato e adesso coinvolge insegnanti delle scuole elementari di queste regioni, mirando non solo a ridurre il gender gap ma anche altre disuguaglianze, come quelle tra nativi e immigrati. Stiamo inoltre lavorando sulla consapevolezza degli stereotipi e dei pregiudizi inconsapevoli, fornendo formazione agli insegnanti per aiutarli a riconoscerli e contrastarli. Questo progetto riceve finanziamenti sia dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che dal Ministero dell’Università. I primi risultati saranno disponibili tra circa un anno e mezzo, dopo corsi di formazione e valutazioni sperimentali.